Anm e Cassazione tuonano: separare le carriere rischia di spogliare il cittadino di garanzie essenziali.
(Foto: Margherita Cassano, primo presidente Suprema Corte di Cassazione).
Il cuore del dibattito
Nell’ambito di un ciclo di audizioni informali promosse dal gruppo Pd alla Camera è esploso il confronto sulla riforma della giustizia. L’iniziativa nasce dalla volontà di aprire un dialogo con magistrati e società civile, in un momento in cui la maggioranza appare determinata a procedere spedita verso l’approvazione definitiva.
Critiche incisive dalle toghe
Cesare Parodi, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), ha dichiarato: «Questa riforma danneggia i cittadini, non i magistrati. A pagare saranno i cittadini, perché si riducono le garanzie e si indebolisce l’indipendenza della magistratura».
Sulla stessa linea Margherita Cassano, prima presidente della Cassazione, che ha parlato di «caduta di garanzie per il cittadino» in caso di separazione delle carriere. Secondo Cassano, la creazione di due Csm separati porterebbe a «una frattura culturale e un rafforzamento eccessivo del potere del pubblico ministero».
Le opposizioni sociali si mobilitano
La CGIL, attraverso il segretario confederale Christian Ferrari, ha parlato di «un progetto che mira a sovvertire la Costituzione antifascista nata dalla Resistenza». Le ACLI, in un position paper, hanno definito la riforma una «bandiera politica» che non risolve i problemi strutturali della giustizia come la lentezza dei processi e la carenza di organico.
La risposta del Pd
Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd, ha definito il progetto «un attacco diretto alla magistratura e alle garanzie dei cittadini stessi. Non rafforza i diritti, ma li indebolisce». Ha accusato la maggioranza di aver scelto «lo scontro e l’imposizione» e annunciato che il Pd aprirà spazi di confronto con la società civile e tutte le forze democratiche per contrastare questa deriva.
Le tappe parlamentari e la risposta del governo
La riforma è già stata approvata in prima lettura alla Camera il 16 gennaio 2025 e in seconda lettura al Senato il 22 luglio 2025. Ora torna alla Camera per la cosiddetta “seconda lettura conforme”: non potrà essere modificata, solo approvata o respinta. La maggioranza punta al via libera entro settembre. Successivamente, dal 22 ottobre, toccherà al Senato l’ultima parola, aprendo poi la strada alla richiesta di referendum, già annunciata dalle opposizioni.
Dal fronte governativo il vicepremier Matteo Salvini ha replicato: «Senza una riforma della giustizia non saremo un Paese libero», ribadendo la determinazione a chiudere l’iter.
Scontro sull’equilibrio tra i poteri dello Stato
Il confronto dell’8 settembre segna un passaggio cruciale. Non si tratta più solo di una disputa tecnica tra toghe e politica, ma di un vero e proprio scontro sull’equilibrio tra i poteri dello Stato. Le voci della magistratura, insieme a quelle del sindacato e delle associazioni, avvertono che il rischio maggiore è per i cittadini, che vedrebbero indebolirsi le tutele costruite in decenni di storia costituzionale.
La maggioranza, dal canto suo, insiste nel presentare la riforma come indispensabile per la libertà e l’efficienza del Paese. La distanza tra i due fronti è netta e, con il referendum all’orizzonte, il tema rischia di spostarsi presto dal Parlamento alle piazze, trasformandosi in una battaglia di democrazia diretta che potrebbe segnare a lungo il rapporto tra cittadini e istituzioni.