Un’indagine che riapre una domanda scomoda
La parola chiave è una, ed è tutt’altro che accademica: “concerto”. Se la Procura di Milano riuscirà a dimostrare che
alcuni protagonisti si sono mossi in modo coordinato (pur negandolo pubblicamente), l’effetto non sarebbe solo giudiziario.
Sarebbe soprattutto di mercato: cambiano gli obblighi, cambia la trasparenza, cambiano i diritti dei soci di minoranza.
Il punto politico-finanziario è chiaro: la scalata di Monte dei Paschi di Siena a Mediobanca (chiusa nel 2025)
ha ridisegnato i pesi della finanza italiana. Ma l’onda lunga arriva più in là: Generali, cioè un pezzo enorme di risparmio gestito,
polizze, investimenti, relazioni industriali. E quindi potere.
Che cos’è davvero il “concerto” e perché sposta miliardi
In Borsa non conta solo quante azioni possiedi, ma come ti muovi. Se più soggetti agiscono con un obiettivo comune,
la legge può trattarli come un unico centro decisionale. Questo, in pratica, può far scattare obblighi aggiuntivi:
comunicazioni al mercato, soglie rilevanti, fino al tema più esplosivo: l’Opa obbligatoria quando si arriva al controllo.
Ecco perché, nelle ricostruzioni emerse in questi mesi, l’ipotesi di un coordinamento “non dichiarato” viene considerata
una possibile distorsione: chi compra in squadra (ma si presenta da solista) può ottenere vantaggi di percorso
e lasciare altri investitori con meno tutele e meno informazioni.
Le due versioni che si scontrano: Procura e Consob
Sullo sfondo c’è un cortocircuito istituzionale che pesa come un macigno.
Da un lato l’inchiesta della magistratura milanese, che indaga su ipotesi come manipolazione del mercato e
ostacolo alla vigilanza (con persone coinvolte che respingono le accuse).
Dall’altro, un documento interno della Consob datato 15 settembre 2025 che, secondo quanto riportato da più testate,
non avrebbe ravvisato elementi sufficienti per sostenere l’esistenza di un “patto occulto” o di un “concerto”.
Questo scontro di letture non è un dettaglio: significa chiedersi se gli strumenti di controllo del mercato abbiano visto,
potuto vedere, o voluto vedere abbastanza. E significa anche che la partita reputazionale — del listino, del Paese, delle regole —
è già iniziata, indipendentemente da come finirà in tribunale.
Il capitolo governo: difese, accuse e una frase da ricordare
Nel dibattito è entrato a gamba tesa anche il Ministero dell’Economia.
Il ministro Giancarlo Giorgetti ha negato interferenze sull’operazione, rivendicando che la banca abbia agito in autonomia
e dichiarando fiducia nel management. La linea è: contatti sì, ma finalizzati a stabilità e sistema, non a pilotare una scalata.
In parallelo, il fronte degli azionisti sotto i riflettori ha reagito irrigidendo le procedure interne.
Il gruppo Caltagirone, per esempio, ha annunciato un rafforzamento delle regole di governance sui voti in assemblea,
con coinvolgimento di componenti indipendenti e passaggi più tracciabili, presentandolo come risposta di trasparenza
in una fase in cui “la fiducia” vale quanto il capitale.
Generali-Natixis: perché il “no” non chiude la storia
La partita su Generali non si gioca solo a Trieste. Si gioca anche a Parigi, Bruxelles e Francoforte.
L’idea di una combinazione tra Generali e Natixis Investment Managers (gruppo BPCE) era stata letta
come un tentativo di creare un campione europeo dell’asset management.
E invece, l’11 dicembre 2025 è arrivato lo stop: Generali e BPCE hanno comunicato di aver interrotto le consultazioni,
sostenendo che “non ci sono le condizioni per arrivare a un accordo definitivo”.
Dietro la formula, però, c’è una miscela di fattori: opposizioni politiche (con il tema della tutela del risparmio domestico),
resistenze di soci influenti e l’ombra lunga del risiko bancario che ha cambiato gli equilibri intorno al Leone.
Morale: il dossier è chiuso oggi, ma il bisogno strategico resta. Perché l’asset management è una guerra di scala:
tecnologia, costi, distribuzione, capacità di produrre rendimento e prodotti. E qui l’Europa — dati alla mano —
soffre un gap rispetto ai colossi statunitensi.
L’elefante nella stanza: l’America gestisce (anche) i risparmi europei
Non serve drammatizzare: basta guardare le dimensioni.
I giganti come BlackRock e Vanguard dominano per masse e potenza commerciale.
In Europa, tra i grandi player, spiccano realtà francesi come Amundi e la stessa Natixis.
L’Italia, pur avendo un campione assicurativo-finanziario come Generali, rischia di restare forte in casa propria
e molto meno influente nel grande mercato continentale.
Da qui la domanda che molti operatori si fanno sottovoce, e che ora torna rumorosa:
ha senso pensare a Generali “isolata” mentre Bruxelles spinge per mercati più integrati e competitivi?
Oppure servono alleanze europee “compatibili”, capaci di aumentare scala e presenza globale senza perdere governance e controlli?
Bruxelles accelera: la “Savings and Investments Union” del 4 dicembre
Il contesto è cambiato anche a livello Ue.
Il 4 dicembre 2025 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure legato alla
Savings and Investments Union (Unione del risparmio e degli investimenti), con l’obiettivo dichiarato di
rimuovere barriere nel mercato unico dei servizi finanziari e canalizzare più risparmio verso investimenti produttivi.
Tradotto: meno frammentazione nazionale, più integrazione, più concorrenza, più pressione sui costi.
In questo scenario, chi ha massa critica e piattaforme efficienti parte avvantaggiato.
E l’asset management, che sembra un tema “da addetti ai lavori”, diventa una leva di competitività europea
tanto quanto l’energia o i semiconduttori.
Ora tocca alla BCE: il banco di prova è industriale, non solo di potere
Sul versante bancario, la prossima parola pesante è quella della vigilanza BCE.
Quando Francoforte ha autorizzato l’operazione, ha legato il via libera a condizioni operative:
tra queste, la richiesta di presentare entro un tempo definito un piano di integrazione
con elementi su capitale e funding, rischi IT e cybersecurity, organizzazione, governance e politiche di remunerazione
per trattenere competenze chiave.
E qui si arriva al passaggio più delicato: dimostrare che l’integrazione Mps-Mediobanca è
un progetto industriale credibile, non un semplice incastro di potere che serve ad altre partite.
Non è un compito banale: si tratta di far convivere una banca commerciale con una realtà storicamente centrata
su investment banking e wealth management, mettendo insieme culture, sistemi e obiettivi senza distruggere valore.
In altre parole, se il mercato chiede trasparenza sul “concerto”, la BCE chiede sostanza sul “perché”:
sinergie realistiche, governance robusta, controlli seri, e una narrazione che regga anche quando i riflettori
non saranno più quelli dell’operazione straordinaria, ma quelli dell’ordinaria redditività.
Tre scenari possibili da qui al 2026
1) Stabilizzazione e prova dei numeri
Scenario “sobrio”: l’inchiesta va avanti, ma sul piano industriale arrivano dettagli convincenti, e la vigilanza
considera gestibili i rischi di esecuzione. In questo caso la partita si sposta su efficienza, integrazione e governance.
2) Pressione regolatoria e aggiustamenti forzati
Scenario “stress”: il contesto giudiziario e reputazionale induce la BCE a chiedere correzioni più profonde su governance,
controlli e struttura. Possibili effetti: ritardi, costi maggiori, e necessità di chiarire ruoli e processi decisionali.
3) Ritorno del tema Generali in versione europea
Scenario “lungo”: anche con Natixis archiviata, la questione resta aperta: trovare una scala europea
nell’asset management, evitando di restare schiacciati tra colossi Usa e campioni francesi.
Qui si giocherà una parte del rapporto tra interessi nazionali e obiettivi Ue.
Il vero confine è tra regole e ambizioni
Questa storia non è solo un romanzo di finanza e telefonate. È uno specchio del Paese:
quanto contano le regole quando si muovono capitali enormi e interessi strategici?
E quanto siamo pronti a ragionare in chiave europea quando il tema è il più sensibile di tutti, il risparmio?
Il paradosso è che l’inchiesta riporta al centro un tema “nazionale” (la correttezza del mercato),
proprio mentre l’Europa spinge per costruire un mercato più unico e più competitivo.
Se la finanza italiana vuole essere protagonista, dovrà dimostrare due cose insieme:
trasparenza nelle regole e scala nelle ambizioni.