• Tutto con Bancomat. Scambi denaro, giochi ti premi.
  • Esprinet molto più di un distributore di tecnologia
  • Fai un Preventivo

Salari, Italia in affanno: potere d’acquisto giù dell’8,8% dal 2021

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Salari, Italia in affanno: potere d’acquisto giù dell’8,8% dal 2021

In Italia il lavoro continua a perdere terreno rispetto al costo della vita. Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, le retribuzioni reali hanno subito, dal 2021, una contrazione dell’8,8%. Un dato che fotografa con chiarezza la difficoltà di molte famiglie a mantenere il proprio potere d’acquisto dopo tre anni di rincari diffusi e di crescita salariale limitata.

Salari, Italia in affanno: potere d’acquisto giù dell’8,8% dal 2021

L’indice delle retribuzioni orarie, pur in leggero aumento su base annua (+2,6%), resta quasi immobile rispetto ai mesi precedenti, segno che la ripresa dei salari non sta tenendo il passo con l’inflazione, anche se quest’ultima è in rallentamento.

Il nodo dei contratti scaduti
Alla radice del problema c’è la lentezza del rinnovo contrattuale. A fine settembre risultano in vigore soltanto 46 contratti collettivi nazionali, mentre 29 restano da rinnovare, con oltre 5,6 milioni di lavoratori in attesa di aggiornamenti salariali.
Il tempo medio di rinnovo ha ormai superato i 27 mesi, un record negativo che si traduce in minori incrementi, arretrati bloccati e incertezza per le imprese.

La situazione è disomogenea: il settore pubblico ha beneficiato di alcuni aumenti, ma la manifattura e i servizi rimangono in una fase di stallo. Una condizione che riduce la competitività del sistema produttivo e accentua il divario tra Nord e Sud.

L’effetto Germania
Il confronto europeo rende ancora più evidente la distanza. In Germania, dove la produttività cresce a ritmi doppi rispetto all’Italia, il governo ha appena approvato un nuovo aumento del salario minimo, che salirà a 13,9 euro l’ora dal 2026 e a 14,6 euro nel 2027.
La misura interesserà circa 6,6 milioni di lavoratori, confermando la strategia di Berlino: sostenere la domanda interna e ridurre le disuguaglianze attraverso retribuzioni più alte e contrattazione più veloce.

In Italia, invece, il dibattito sul salario minimo resta aperto. Il governo Meloni preferisce puntare sul rafforzamento dei contratti collettivi e sugli incentivi al lavoro dipendente, come il taglio del cuneo fiscale, per aumentare il reddito netto dei lavoratori senza intervenire per legge sulle soglie minime.

Inflazione e consumi in rallentamento
Negli ultimi due anni, l’inflazione ha colpito con forza i beni di prima necessità, alimentari e abitativi. Il risultato è una riduzione dei consumi reali, che non hanno ancora recuperato i livelli del 2019.
I salari nominali sono cresciuti mediamente del 2,3% annuo, ma i prezzi nello stesso periodo hanno registrato un incremento superiore al 10% cumulato. Per molte famiglie, la differenza equivale alla perdita di quasi una mensilità di stipendio.

L’impatto è particolarmente evidente tra i lavoratori dei servizi, del commercio e delle piccole imprese, categorie più esposte all’aumento del costo della vita e con minori possibilità di adeguamento retributivo.

L’urgenza di un nuovo equilibrio
La questione salariale è tornata al centro dell’agenda economica. I sindacati chiedono una riforma complessiva della contrattazione, con procedure più rapide e minimi garantiti legati ai contratti leader.
Dal mondo imprenditoriale arriva un messaggio complementare: servono più produttività e più investimenti in capitale umano per rendere sostenibili gli aumenti.
Il nodo è strutturale: negli ultimi dieci anni, la produttività del lavoro in Italia è cresciuta di appena lo 0,3% medio annuo, contro l’1,2% della media europea.

Gli economisti concordano sul fatto che senza innovazione e digitalizzazione diffusa, il Paese rischia di restare intrappolato in una spirale di salari bassi e crescita lenta.

Il prezzo della stagnazione
La perdita di potere d’acquisto non è solo un tema sociale, ma anche un fattore di stabilità economica. Con i consumi interni ancora deboli e le esportazioni rallentate, la tenuta della domanda interna diventa decisiva.
Rilanciare i salari significa rimettere in moto il circuito della crescita: più reddito per le famiglie, più fiducia, più spesa. È la condizione necessaria per trasformare la ripresa da nominale a reale.

La sfida per il 2026, spiegano gli analisti, sarà duplice: recuperare il terreno perduto e riequilibrare il rapporto tra retribuzioni, produttività e costo del lavoro. Un equilibrio che oggi, nel confronto con gli altri Paesi europei, appare ancora lontano.

Italia e la “sfida del lavoro dignitoso”
Se da un lato l’Italia fatica a garantire salari adeguati, dall’altro cresce l’attenzione verso la qualità del lavoro. Gli incentivi alle assunzioni stabili, le politiche di welfare aziendale e il sostegno ai contratti di prossimità possono rappresentare leve efficaci per ricucire il divario.

Il tema dei redditi, però, non si risolve con un solo intervento. Richiede una strategia condivisa tra governo, imprese e parti sociali, capace di coniugare produttività, formazione e giustizia retributiva.
Solo così – osservano gli esperti – il Paese potrà tornare a crescere in modo sostenibile, restituendo valore al lavoro e fiducia ai cittadini.

Notizie dello stesso argomento
Trovati 7 record
Pagina
2
02/12/2025
Occupazione in crescita: Istat registra +75 mila posti a ottobre
Un mercato del lavoro che accelera, ma non per tutti
Trovati 7 record
Pagina
2
  • Con Bancomat, scambi denaro, giochi e ti premi.
  • Punto di contatto tra produttori, rivenditori & fruitori di tecnologia
  • POSTE25 sett 720