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Sanità pubblica, il grande inganno: non la privatizziamo, la stiamo lasciando morire

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Sanità pubblica, il grande inganno: non la privatizziamo, la stiamo lasciando morire

Dicono che la sanità pubblica non stia diventando privata. Che la spesa privata delle famiglie non sia aumentata. Che il diritto alla salute sia ancora garantito. Ma allora perché sempre più italiani sono costretti a pagare per una visita specialistica? Perché un'ecografia urgente si ottiene subito solo se si apre il portafoglio? Perché negli ospedali pubblici le liste d’attesa si allungano mentre nelle cliniche private convenzionate si accorciano?

Sanità pubblica, il grande inganno: non la privatizziamo, la stiamo lasciando morire

La risposta è più sottile di quanto sembri: non è una privatizzazione dichiarata, ma un’erosione silenziosa e costante del servizio pubblico. Non si vende la sanità pubblica, la si svuota, lasciando che il privato diventi l’unica alternativa per chi non può permettersi di aspettare mesi per una diagnosi. Un fenomeno che si traduce in un’Italia sempre più divisa tra chi può pagare e chi deve rassegnarsi ad attendere.

Dentro gli ospedali: un sistema al collasso
Entriamo nel pronto soccorso di un grande ospedale romano in un martedì pomeriggio. Un cartello avverte i pazienti: Tempi di attesa superiori alle 8 ore per i codici verdi. Alcuni anziani siedono su sedie di plastica in un angolo, aspettando da ore, mentre le barelle nei corridoi sono occupate da pazienti che non trovano posto nei reparti.

Una giovane donna, accompagnata dal marito, si avvicina alla reception: “Mia madre ha dolori lancinanti al fianco, l’hanno lasciata qui da stamattina e ancora nessuno l’ha visitata”. L’infermiera scuote la testa: “Non sappiamo quando toccherà a lei, siamo senza personale”.

Un medico, che chiede di restare anonimo, ci spiega: “Il problema non è solo la carenza di personale, ma anche i tagli ai reparti e l’esternalizzazione dei servizi. Molti esami vengono ormai fatti nel privato convenzionato perché gli ospedali pubblici non hanno macchinari o tecnici disponibili. È un modo subdolo di dirottare i pazienti verso il privato, senza dichiarare apertamente che il pubblico non ce la fa più”.

Liste d’attesa infinite, la corsia preferenziale del privato
Prendiamo il caso di Sara, 42 anni, impiegata. A settembre scopre di avere un nodulo al seno. Il medico le prescrive una mammografia urgente. Chiede un appuntamento al CUP (Centro Unico Prenotazioni) e le danno una data: maggio dell’anno successivo.

“Non potevo aspettare otto mesi”, racconta. “Ho chiesto informazioni e mi hanno detto che, pagando, potevo fare la visita in pochi giorni nello stesso ospedale, ma in regime privato. Mi sono sentita presa in giro”. Alla fine, ha pagato 250 euro per la visita e altri 180 per l’ecografia. “Per fortuna ho potuto permettermelo, ma chi non ha questi soldi cosa fa?”.

E infatti, non tutti possono. Secondo l’ultimo rapporto Censis, il 28% degli italiani ha rinunciato a cure mediche per motivi economici. Una percentuale destinata a crescere se il sistema continuerà a funzionare così.

Il paradosso della spesa sanitaria: paghiamo tanto, ma male
La sanità pubblica italiana non è formalmente privatizzata, ma è sempre più frammentata e dipendente dal settore privato. Un paradosso: lo Stato spende miliardi per la sanità, ma la distribuzione delle risorse è inefficace.

Negli ultimi dieci anni, il finanziamento pubblico è stato progressivamente tagliato o stagnante, mentre il numero di convenzioni con il privato è aumentato. Così, anche se sulla carta il Servizio Sanitario Nazionale garantisce assistenza universale, nella pratica i pazienti si trovano sempre più spesso a dover scegliere tra due opzioni: aspettare mesi o pagare.

I numeri parlano chiaro:

In Lombardia, il 40% delle prestazioni sanitarie erogate con fondi pubblici è in strutture private convenzionate.

Nel Lazio, il 60% delle operazioni chirurgiche ortopediche avviene in cliniche private accreditate, perché gli ospedali pubblici non riescono a smaltire le richieste.In tutta Italia, i medici di base sono sempre meno, e molti cittadini si trovano costretti a rivolgersi a specialisti privati per una semplice visita.

Un futuro a due velocità
Il rischio più grande non è la privatizzazione formale, ma la creazione di un sistema dove il pubblico diventa un servizio di base per chi non può permettersi alternative, mentre il privato diventa l’unica soluzione per chi vuole cure rapide ed efficaci.

È il modello americano che avanza, silenzioso e senza dichiarazioni ufficiali, mentre la politica discute di altro. Un modello che porta a un’Italia divisa tra chi può pagare per curarsi e chi deve rassegnarsi ad aspettare.

Il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, è in bilico. La sanità pubblica non è stata ancora privatizzata del tutto, ma se nulla cambia, sarà il tempo—e non una legge—ad affossarla definitivamente.

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