La cultura perde Eugenio Scalfari, giornalista sempre ''contro''

- di: Redazione
 
Con la morte di Eugenio Scalfari, spentosi oggi a 98 anni, si chiude un capitolo importante del giornalismo italiano del XXI secolo, fatto di passioni e pulsioni, di cui lui è stato forse, con Indro Montanelli, l'esponente più ''visibile''.
A dare l'annuncio è stata Repubblica e altrimenti non poteva essere, perché fu lui a fondare il quotidiano nel 1976 e ad esserne il direttore fino al 1996, quando, per sua scelta, lasciò l'incarico, dopo che ne aveva ceduto le sue quote della proprietà.

Il mondo del giornalismo piange Eugenio Scalfari

Personalità sfaccettata, Eugenio Scalfari ha attraversato, con la sua forte personalità, due secoli di giornalismo e cultura italiani (era nato a Civitavecchia nel 1924, da genitori calabresi) dimostrando, giovanissimo, la sua capacità di ''capire'' gli eventi e raccontarli, senza occhio benevolo o infingimenti, ma solo nel rispetto della verità. Che qualche volta era solo ''sua'', ma che difendeva con una passione sincera che anche gli avversari gli riconoscevano.

Uomo di enorme cultura, negli ultimi anni sempre più spesso era affascinato dalla religione, lui che, da ateo dichiarato e convinto, maneggiava la materia con attenzione e rispetto, dall'alto della sua capacità di esprimere pensieri anche scomodi. Mai tralasciando il giornalismo, aveva scelto di esprimere il suo pensiero sempre più spesso con scritti molto impegnativi, quasi un confronto continuo con sé stesso, una ricerca di verità assoluta, quasi un paradosso per lui che era apparentemente distaccato dalla spiritualità, che comunque accettava con grande rispetto.

Lo dimostrano decine e decine di articoli e libri in cui ha trasfuso la curiosità che restava viva in lui, nonostante gli anni che si accumulavano, ma solo sui documenti, non sulla capacità di ''leggere'' le vicende del Paese. Un Paese che Scalfari ha ''vissuto'' e mai ha rinnegato o cancellato le sue scelte, alcune delle quali, alla luce di quel che era diventato, a distanza di anni potevano suonare senza senso. Come la sua adesione al fascismo, nell'età più giovane. Come il fatto che, nel 1946, al referendum, avesse votato per il mantenimento della monarchia. Una scelta quasi scontata per chi, come lui, era fedele ad una concezione crociana dello Stato e di chi ne doveva garantire l'integrità.

''Il voto monarchico" - avrebbe detto poi - "non era stato frutto di passione. Ero in realtà repubblicano e lo sarei ridiventato subito dopo''.
Una ''firma'' di cui si è doluto è stata quella apposta, nel giugno del 1971, in un documento pubblicato sull'Espresso in cui si puntava il dito sul commissario Luigi Calabresi, accusato, con altri, di essere tra i responsabili, diretti o morali, della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, caduto da una finestra della questura di Milano, dove si trovava per essere interrogato per la strage alla Banca dell'Agricoltura.
Il documento fu firmato da molti intellettuali ed esponenti della cultura, tra i quali appunto Scalfari. Che, a distanza di anni, ammise, dicendo di essersene scusato con la vedova Calabresi, essere stato un errore.
La notizia della sua morte, come scontato, ha provocato emozione e, quindi, decine e decine di commenti e dichiarazioni che ne celebrano la figura.
Una cosa che forse, anche a lui che per molti era un narcisista, gli avrebbe creato qualche imbarazzo.
Il Magazine
Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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