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Scampia, la fine delle Vele: la Gialla va giù, tra memoria e riscatto

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Scampia, la fine delle Vele: la Gialla va giù, tra memoria e riscatto

FOTO: Photo2023 - CC BY 4.0

Ore 10:16, il primo morso delle ruspe strappa via un pezzo della Vela Gialla. Il cemento si sfalda, il metallo si contorce. Un rumore secco, come un colpo di tosse soffocato. In pochi secondi, la polvere si solleva lenta, avvolgendo l’aria di Scampia in una nebbia grigia, come a voler coprire l’imbarazzo di una ferita aperta troppo a lungo.

Scampia, la fine delle Vele: la Gialla va giù, tra memoria e riscatto

Non è solo un abbattimento. È un rito, un esorcismo. La Vela Gialla, con le sue scale corrose e le facciate annerite dall’umidità, era un monumento al fallimento. Una promessa mancata. Oggi diventa macerie, e Napoli, forse, si libera di un pezzo del suo passato più ingombrante.

Napoli cambia dalle periferie

“La città cambia dalle periferie”, ripete Gaetano Manfredi davanti ai giornalisti, il casco bianco ben saldo in testa. Il sindaco osserva il lavoro delle macchine, quasi ipnotizzato. Non è la prima Vela che vede cadere, ma questa demolizione ha un peso particolare.

“Non è solo un edificio che viene giù – aggiunge – è un pezzo di storia della città. Una storia che ha segnato generazioni. Ma oggi guardiamo avanti. Scampia non è solo degrado. Scampia è vita, è futuro.”

Parole già sentite? Forse. Ma stavolta sembrano suonare un po’ più vere. Forse perché a luglio, quando un ballatoio della Vela Celeste è crollato all’improvviso, Napoli ha avuto paura. Paura che la tragedia si ripetesse, paura che il quartiere restasse impigliato nei suoi fantasmi.

Un sogno nato male e finito peggio

Le Vele avrebbero dovuto essere il simbolo di un’urbanistica rivoluzionaria, ispirata ai principi di Le Corbusier. Quando vennero costruite, negli anni ‘60 e ‘70, si parlava di spazi ariosi, di comunità, di una Napoli che si allargava con razionalità.

Ma la realtà ha sovvertito l’utopia. Gli appartamenti si riempirono più del previsto, i servizi non arrivarono mai, le manutenzioni saltarono quasi subito. Poi vennero gli anni ‘80, il terremoto, la camorra, il crack. E le Vele divennero altro: un labirinto senza uscita, un condominio di spaccio e povertà.

Per molti, però, quelle case erano casa davvero. “Non siamo solo Gomorra”, ripetono gli abitanti. Non è tutto nero, non è tutto criminalità. C’era vita, c’era resistenza. C’era chi provava a farcela nonostante tutto. E oggi, mentre la Gialla crolla, il quartiere si sente diviso tra sollievo e nostalgia.

Dalle macerie, un’altra città

L’abbattimento durerà quaranta giorni, ma il piano per la nuova Scampia è già tracciato. Al posto delle Vele sorgeranno dodici palazzine moderne, basse, con spazi verdi e servizi. “Restart Scampia” è il nome del progetto che promette di ridisegnare il quartiere, spezzando il vecchio schema dei giganti di cemento.

Le nuove costruzioni ospiteranno circa 35 famiglie ciascuna. Per chi ha vissuto nelle Vele, sarà un’altra vita. Per chi ha visto Scampia solo nei film, sarà difficile riconoscerla.

Omero Benfenati, storico attivista del Comitato Vele, si ferma a osservare la scena con gli occhi lucidi. “Abbiamo lottato tanto per arrivare qui”, dice sottovoce. “Abbiamo passato anni a chiedere di abbattere questi mostri. Ma ora che succede davvero, fa un po’ male. È un pezzo della nostra storia che se ne va. Speriamo che quello che verrà dopo sia all’altezza del sacrificio.”

L’ultimo atto di un addio sofferto

Dopo la Gialla toccherà alla Rossa. Della Celeste rimarrà solo una parte, per ricordare a tutti quello che è stato. Il resto sparirà.

Per chi ci ha vissuto dentro, la demolizione è una liberazione, ma anche un colpo al cuore. È la fine di un’epoca, di un quartiere come lo si è conosciuto. E ora, tra le macerie, c’è spazio solo per la speranza.

Scampia prova a scrivere una storia diversa. Stavolta, forse, ci riuscirà davvero.

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