Tensione alle stelle davanti alla facoltà di filosofia: l’ultimo capitolo di una protesta che dura da mesi.
In una serata infuocata di agosto si è consumato l’ennesimo capitolo della turbolenta protesta studentesca serba: questa volta con violenti scontri tra giovani manifestanti, cittadini solidali e forze dell’ordine davanti alla facoltà di filosofia dell’Università di Novi Sad.
Già a partire dalla mattina del 26 agosto il preside Milivoje Alanović, accompagnato da docenti e personale, ha fatto ingresso nell’edificio bloccato dagli studenti, cambiando le serrature e procedendo con minacce di sanzioni disciplinari nei confronti dei bloccatari. Di primo mattino, gli studenti sono stati espulsi dal palazzo e dalle finestre sarebbero stati gettati contenitori con effetti personali e donazioni come coperte e alimenti.
Alla sera, gli studenti avevano dato un ultimatum: lasciare facoltà e polizia entro le 22:00, pena l’azione diretta. Alla scadenza dell’ultimatum, una folla di centinaia di manifestanti — giovani e sostenitori — ha cercato di forzare il cordone della polizia antisommossa per entrare nella facoltà.
Tra lanci di pietre, bottiglie, uova, petardi e oggetti infiammabili, i manifestanti hanno risposto con una reazione sanguigna. La polizia ha replicato con cariche di alleggerimento, uso di spray al peperoncino e formazione di anelli difensivi per disperdere i presenti. Almeno alcuni manifestanti hanno riportato ferite, mentre testimoni parlano di “esagerato uso della forza”. Un veterano sanguinante ha raccontato di essere stato colpito con uno scudo, e altri avrebbero subito l’effetto dello spray irritante.
Sul posto, si continua a monitorare una situazione ancora carica di tensione: alcuni manifestanti resistono davanti alla facoltà, ancora presidiata dalla polizia, mentre si annuncia un nuovo raduno a partire dalle ore 15 del giorno successivo, nel tentativo di dare continuità alla mobilitazione.
Il retroterra: una protesta nata da una tragedia
La rivolta studentesca e civica serba affonda le sue radici nella tragedia della stazione ferroviaria di Novi Sad, crollata il 1° novembre 2024 causando 16 vittime. La catastrofe ha acceso una fiamma di indignazione per corruzione, negligenza e opacità nella gestione pubblica, scatenando uno dei movimenti di protesta più vasti del paese dagli anni Ottanta.
Gli studenti hanno raccolto il malessere popolare, bloccando facoltà e scuole e avanzando richieste chiare: giustizia per le vittime, trasparenza nei lavori pubblici, maggiori investimenti nell’istruzione e stop alle intimidazioni nei confronti della comunità accademica. Le proteste hanno trovato ampio sostegno da intellettuali, artisti, categorie professionali e persino contadini — alcuni dei quali hanno simbolicamente parcheggiato trattori davanti alla facoltà in segno di solidarietà.
La risposta del governo è stata segnata da arresti selettivi, interventi repressivi, contro-manifestazioni e accuse contro i manifestanti. Il conflitto sui temi di libertà accademica e autoritarismo governativo sembra più che mai acceso.
Un momento di svolta
È un momento di svolta: si assiste alla radicalizzazione di una protesta nata dal dolore e trasformata in battaglia civile. La reazione militarizzata dell’Accademia, con i blocchi di accesso e il ruolo della polizia, segna un punto di non ritorno. L’uso della forza, lo spezzettamento democratico e l’atteggiamento del preside Alanović incarnano la crisi dell’istruzione superiore e dell’autonomia universitaria.
Nel cuore della Serbia cresce una mobilitazione che prova a difendere la dignità civile e il diritto di pensiero, mentre il governo risponde militarizzando le istituzioni. Il saldo di questa resa dei conti potrà influenzare il futuro delle istituzioni accademiche e dei diritti democratici nel paese.