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Simon Johnson: “Temo una seconda grande crisi finanziaria, stavolta innescata dalle stablecoin”

- di: Redazione
 
Simon Johnson: “Temo una seconda grande crisi finanziaria, stavolta innescata dalle stablecoin”

«Temo che accadrà una seconda grande crisi finanziaria, come quella del 2008, ma stavolta scaturita dalle cripto-attività, in particolare dalle stablecoin». A dirlo è Simon Johnson, premio Nobel per le Scienze economiche nel 2024 insieme a Daron Acemoglu e James A. Robinson, che in un’intervista lancia un monito sul nuovo volto della finanza globale.

Simon Johnson: “Temo una seconda grande crisi finanziaria, stavolta innescata dalle stablecoin”

Professore al Massachusetts Institute of Technology (MIT), Johnson spiega che il rischio non sta solo nell’innovazione tecnologica, ma nelle dinamiche classiche di panico finanziario: «Queste attività digitali creano un nuovo strato della finanza che oggi manca di meccanismi di sicurezza adeguati. Sappiamo già cosa accade quando un settore che gestisce depositi a vista non dispone di garanzie solide: la fiducia si spezza e scatta la fuga di massa».

Il nodo normativo negli Stati Uniti
Johnson fa riferimento al recente Genius Act, approvato negli Stati Uniti per regolamentare il mercato delle stablecoin. Una legge che, pur introducendo un quadro normativo, secondo l’economista ha creato «qualcosa di molto simile ai money market mutual funds, i fondi del mercato monetario».

Il parallelismo non è casuale: questi fondi, che investono in attività liquide a breve termine, hanno già mostrato nella storia – a cominciare dalla crisi del 2008 – la vulnerabilità a improvvise fughe di capitali. «Da un lato, le stablecoin hanno attività presumibilmente liquide e a breve termine; dall’altro lato, hanno passività sotto forma di depositi a vista, ma senza assicurazione sui depositi. È una combinazione pericolosa. Sappiamo già dove può portare».

La dinamica della crisi
Il meccanismo che Johnson teme è semplice quanto potenzialmente devastante. «La maggior parte delle stablecoin potrebbe non avere problemi», ammette. «Ma alcune finiranno nei guai: le loro attività non saranno completamente al sicuro e diventeranno illiquide, anche solo temporaneamente. Gli investitori, percependo il rischio, inizieranno a chiedersi se i loro fondi siano al sicuro. Nell’incertezza, decideranno di ritirare i capitali per spostarli verso porti più sicuri. E così scatterà una fuga da questi asset, una corsa agli sportelli digitali».

Questo fenomeno, per l’economista, potrebbe avere effetti a catena. «Se la fuga dalle stablecoin non avesse conseguenze sull’economia reale, non mi interesserebbe. Se qualcuno gioca d’azzardo a Las Vegas, il problema è solo suo. Ma se un’attività speculativa digitale fa crollare l’economia, se contagia le banche statunitensi e poi quelle del resto del mondo, allora il problema diventa sistemico. È così che si può ripetere una Grande crisi finanziaria».

Un rischio sottovalutato
Il monito di Johnson arriva in un momento in cui le stablecoin – criptovalute legate al valore di una valuta fiat, come il dollaro – stanno assumendo un ruolo crescente nei mercati, sia come mezzo di pagamento sia come riserva di valore. Ma proprio il loro successo ne aumenta la rilevanza sistemica.

Per Johnson, la lezione del 2008 non è stata pienamente appresa: «Allora il problema erano i mutui subprime, titoli che sembravano sicuri ma non lo erano. Oggi il problema può venire da strumenti che appaiono stabili ma che in realtà non hanno un’adeguata protezione dietro di sé».

La sfida globale
Il premio Nobel avverte che la questione non riguarda solo gli Stati Uniti. L’interconnessione finanziaria mondiale rende difficile contenere una crisi nel perimetro nazionale. «Se le banche Usa vengono coinvolte, inevitabilmente l’effetto si propaga all’Europa, all’Asia e oltre. Le stablecoin sono ormai parte di un sistema globale, e il contagio finanziario non conosce confini».

Johnson invita dunque a un approccio coordinato tra le grandi economie: «Serve un’azione comune, non bastano regole frammentate. Bisogna garantire trasparenza, solide riserve e, dove necessario, forme di assicurazione dei depositi per evitare che il panico diventi autoalimentato».

Il richiamo alla politica
L’economista sottolinea che il rischio non è solo tecnico ma anche politico. L’innovazione nel settore fintech corre più veloce dei regolatori, mentre le lobby della tecnologia finanziaria esercitano pressioni per evitare regole troppo stringenti. «Ma ignorare i rischi per paura di frenare l’innovazione è una scelta miope. Il costo di un’altra crisi finanziaria sarebbe immensamente superiore».

Secondo Johnson, serve un equilibrio tra la promozione dell’innovazione e la salvaguardia della stabilità. «Le stablecoin possono avere un ruolo utile, ma solo se inserite in un quadro regolatorio che riduca i rischi di panico e garantisca fiducia al mercato. Altrimenti diventeranno il detonatore della prossima crisi globale».

Una lezione dalla storia
A quasi vent’anni dalla Grande recessione, l’avvertimento di Johnson riecheggia quello di molti economisti che mettono in guardia contro l’eccessiva fiducia nei mercati non regolamentati. La storia del 2008, suggerisce, dimostra che non bastano i buoni fondamentali economici a evitare un crollo, se i meccanismi di intermediazione finanziaria sono fragili e suscettibili al panico.

La finanza digitale promette efficienza e inclusione, ma senza un’architettura solida può trasformarsi rapidamente in un moltiplicatore di rischi. «Il vero pericolo – conclude Johnson – è dimenticare quanto velocemente la fiducia può evaporare e quanto devastanti possono essere le conseguenze».

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