Smart working in bilico: presenzialismo in rialzo, ma impatto su talenti e benessere
Nel 2025 l’85% torna in ufficio; la flessibilità resta per pochi, ma cresce il malcontento.
Nel 2025 l’Italia sembra imboccare una strada netta: il lavoro in presenza torna a dominare, relegando la flessibilità a un ruolo marginale e rilanciando vecchi schemi aziendali. Ma questo ritorno “alle scrivanie” porta con sé un prezzo alto: disagio per molti lavoratori, malessere silenzioso, fuga di talenti. Le cifre recenti lo rivelano con chiarezza.
La fotografia del 2025: il presenzialismo torna la norma
Secondo un rapporto di novembre 2025, l’85% dei dipendenti italiani svolge il proprio lavoro esclusivamente in presenza, un dato in aumento rispetto all’82% dell’anno precedente. Parallelamente la modalità ibrida — quella che aveva rappresentato la mediazione più diffusa dopo la pandemia — cala dal 15% del 2024 al 12% nel 2025. Il presenzialismo torna così a essere la regola dominante.
Un paradosso, se si considera che nello stesso anno circa 3,57 milioni di persone — poco meno del 15% della forza lavoro — risultano impegnate almeno in parte in smart working. Questa crescita (+0,6% rispetto al 2024) è trainata dalla Pubblica Amministrazione e dalle grandi imprese, mentre nelle piccole e medie imprese la flessibilità arretra sensibilmente.
Un divario che si allarga: grandi imprese vs PMI
Nei gruppi di grandi dimensioni, il lavoro agile sembra aver trovato una sua stabilità: circa il 53% del personale lavora da remoto almeno parzialmente, in crescita rispetto allo scorso anno. Nella Pubblica Amministrazione il fenomeno segna un +11%, con circa 555.000 dipendenti coinvolti, pari al 17% del totale.
Al contrario le piccole e medie imprese (PMI) — tradizionalmente motore dell’economia italiana — mostrano una decisa marcia indietro: la quota di smart worker si riduce sensibilmente, e il ricorso al lavoro agile viene spesso abbandonato o limitato.
Flessibilità sì, ma a prezzo di benessere — e di talenti
Questo slittamento verso il presenzialismo non è privo di conseguenze — soprattutto per le persone. In un contesto in cui la modalità agile viene ridimensionata, molti lavoratori denunciano una crescente difficoltà a conciliare lavoro e vita privata, stress e rischi di burnout.
Diversi analisti segnalano che la rigidità imposta da alcune aziende, considerata misura di controllo, si scontra con le esigenze di autonomia e dignità: portare tutti in ufficio non significa garantire produttività, ma rischia di logorare l’organizzazione psicofisica di chi lavora.
Inoltre, tra le giovani generazioni (18-34 anni), è diffusa la percezione che l’ufficio “vecchio stile” rappresenti un modello superato. La flessibilità non è vista come un privilegio, bensì come una condizione essenziale per conciliare lavoro, vita privata e aspirazioni. In assenza di questo equilibrio, non sorprende che molti considerino l’abbandono del posto: la rigidità può diventare una spinta verso l’uscita dalla porta.
Il paradosso italiano: smart working in crescita... eppure perdente
È proprio questo il paradosso che emerge: da un lato i numeri mostrano un +0,6% di smart worker rispetto al 2024, un segnale che lo smart working non è scomparso. Dall’altro, però, la prevalenza del lavoro in presenza e la riduzione della modalità ibrida suggeriscono una tendenza al ritorno al passato.
In effetti, per molte aziende la flessibilità sembra diventata un optional da coniugare con il controllo, piuttosto che un modello organizzativo fondato su fiducia, autonomia e obiettivi. Una scelta confusa — che rischia di generare un malessere diffuso e di allontanare i professionisti più motivati, in cerca di ambienti di lavoro moderni e rispettosi della persona.
Verso il futuro: bisogno di un cambio di paradigma
Per invertire questa tendenza, serve un cambio profondo di mentalità: le aziende devono smettere di vedere lo smart working come un privilegio o una concessione temporanea, e iniziare a considerarlo come un asset stabile, utile per il benessere e la retention dei talenti. Occorre infrastruttura adeguata, cultura manageriale orientata ai risultati, fiducia concreta e attenzione alla qualità dell’ambiente di lavoro.
Solo così la flessibilità potrà davvero diventare un pilastro della nuova normalità lavorativa — non un lusso, ma un diritto. E chi lavora potrà sentirsi parte di una cultura aziendale moderna, efficiente, rispettosa delle esigenze personali e professionali.