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Spari nella movida di Milano: le città italiane tra paura, percezione e vuoti istituzionali

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Spari nella movida di Milano: le città italiane tra paura, percezione e vuoti istituzionali

Un uomo di origine cinese è stato ferito da colpi d’arma da fuoco nel cuore della movida milanese. Un episodio che si somma a una lunga serie di fatti analoghi registrati negli ultimi mesi nelle principali città italiane: non solo Milano, ma anche Napoli, Roma, Torino, Bologna. Più che un caso isolato, l’episodio rilancia una domanda urgente e collettiva: chi controlla realmente lo spazio urbano notturno? E quanto lo Stato è presente – o assente – in quel territorio fluido dove si incrociano divertimento, economia, disagio, microcriminalità e tensioni sociali?

Spari nella movida di Milano: le città italiane tra paura, percezione e vuoti istituzionali

I dati del Viminale parlano chiaro. Nel 2024 si è registrato un incremento del 18% degli episodi di violenza urbana tra le 22 e le 5 del mattino, con un picco nei weekend. L’area milanese figura tra le più esposte, con oltre 2.300 interventi delle forze dell’ordine tra gennaio e ottobre. Ma il problema non è solo lombardo: da Catania a Firenze, la questione della sicurezza notturna sta diventando strutturale. Coltellate, aggressioni, regolamenti di conti, furti, risse. Fenomeni che coinvolgono target diversissimi: giovani, immigrati, spacciatori, lavoratori notturni, passanti casuali.

L’ambivalenza della movida
La movida è, per le città italiane, un valore e un dilemma. Genera ricchezza, attira turismo, alimenta la vita culturale e commerciale. Ma quando è lasciata senza regole né presidio, diventa anche terreno fertile per l’illegalità. Il confine tra vitalità e degrado è sempre più sottile, soprattutto nei quartieri dove l’afflusso notturno è aumentato senza un corrispettivo adeguato di servizi e controllo. Milano, in particolare, soffre di una polarizzazione: da un lato l’eccellenza dei grandi eventi, dall’altro le zone grigie della notte metropolitana, dove l’abbandono si traduce in vulnerabilità.

Chi vive (e muore) la notte
Secondo una recente ricerca dell’ISTAT, il 34% degli episodi di violenza urbana si consuma di notte. Ma la percentuale sale al 49% se si considerano soltanto le vittime under 35. Le città notturne sono vissute da giovani, studenti fuori sede, lavoratori precari, rider, migranti. Spesso invisibili di giorno, diventano protagonisti di una dinamica urbana che non viene letta né gestita. In molte realtà italiane, la notte è affidata al caso, alla buona volontà degli esercenti o – nel peggiore dei casi – a micro-poteri che si spartiscono lo spazio pubblico.

La sicurezza è anche una questione di politica culturale
Di fronte a tutto questo, la risposta istituzionale è ancora prevalentemente repressiva: più controlli, più pattuglie, più telecamere. Ma serve di più. Serve una visione. La sicurezza non può essere solo ordine pubblico, ma anche politica sociale, culturale, urbanistica. Illuminazione, trasporti notturni, presidi educativi, spazi pubblici accessibili, alternative alla marginalità. In molte capitali europee si sperimentano da anni figure come il “sindaco della notte”, tavoli permanenti tra istituzioni, cittadini e operatori del settore per governare la complessità dell’after dark. In Italia, al contrario, la notte resta un oggetto rimosso, trattato solo quando esplode in fatti di sangue.

Le città del dopo-Covid: socialità compressa, rabbia diffusa
Non va dimenticato l’effetto del post-pandemia: due anni di socialità compressa, di assenza forzata dallo spazio pubblico, hanno generato una pressione psicologica collettiva che oggi si manifesta anche in forme aggressive e disordinate. La movida non è più solo evasione: è anche sfogo, conquista, bisogno di visibilità. In questa trasformazione, i più fragili – giovani, stranieri, soggetti marginalizzati – sono esposti a un doppio rischio: subire e riprodurre violenza.

Riappropriarsi della notte: una sfida democratica
Il ferimento avvenuto a Milano non è solo un fatto di cronaca, ma un sintomo. E come tale va letto. Le città devono interrogarsi sul senso della notte: su chi la abita, su chi la gestisce, su chi la perde. Non si tratta solo di aumentare le pattuglie, ma di ricucire un tessuto urbano che di notte si sfalda. Ogni città dovrebbe avere una strategia per l’uso notturno del proprio spazio: una “governance della notte” che metta al centro diritti, accessibilità, pluralità. Perché il buio non è solo l’assenza di luce: è l’assenza di visione.

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