Occupata la biblioteca, decine di arresti e accuse incrociate: il campus diventa simbolo della crisi democratica americana.
(Foto: una manifestazione studentesca)
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Un campus sotto assedio
La Columbia University di New York è diventata teatro di un acceso scontro tra studenti pro-Palestina e le forze dell’ordine. Circa 75 manifestanti, molti dei quali indossavano keffiyeh e maschere, hanno occupato la Butler Library, rinominandola “Basel Al-Araj Popular University” in onore dell’attivista palestinese ucciso nel 2017. L’azione, organizzata dal gruppo Columbia University Apartheid Divest (CUAD), mirava a protestare contro i legami finanziari dell’università con aziende coinvolte nel conflitto israelo-palestinese.
La risposta dell’amministrazione non si è fatta attendere. Claire Shipman, presidente ad interim dell’università, ha definito l’occupazione “oltraggiosa” e ha richiesto l’intervento della polizia per garantire la sicurezza del campus. Durante l’operazione, due agenti della sicurezza sono rimasti feriti, e numerosi studenti sono stati arrestati per violazione di domicilio.
La repressione e le sue implicazioni
Il sindaco di New York, Eric Adams, ha giustificato l’intervento della polizia, sottolineando che “New York difenderà sempre il diritto alla protesta pacifica, ma non tollererà mai l’illegalità”. Tuttavia, l’episodio ha sollevato preoccupazioni riguardo alla libertà di espressione e al diritto di protesta negli Stati Uniti.
Il caso di Mahmoud Khalil, studente palestinese e attivista di spicco, arrestato a marzo 2025 e detenuto in Louisiana, è emblematico. Nonostante fosse residente permanente legale negli Stati Uniti, Khalil è stato arrestato senza mandato e rischia la deportazione sulla base di una legge del 1952, sollevando accuse di repressione politica e violazione dei diritti civili .
Un clima politico sempre più teso
L’amministrazione Trump ha intensificato la pressione sulle università, minacciando di revocare finanziamenti federali a istituzioni che non contrastano adeguatamente l’antisemitismo. La Columbia University ha già subito un taglio di 400 milioni di dollari in sovvenzioni federali, spingendo l’ateneo a implementare nuove politiche, tra cui il divieto di maschere durante le proteste e l’obbligo di identificazione per i manifestanti.
Queste misure hanno suscitato critiche da parte di gruppi per i diritti civili, che le considerano un attacco alla libertà accademica e alla democrazia. Il caso della Columbia è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più ampio che vede le università americane diventare campo di battaglia per questioni politiche e sociali di rilevanza nazionale.
Una tensione crescente in un clima politico polarizzato. L’America andrà a sbattere?
La situazione alla Columbia University evidenzia una crescente tensione tra il diritto alla protesta e le misure di sicurezza adottate dalle istituzioni. In un clima politico sempre più polarizzato, la gestione delle manifestazioni studentesche diventa un indicatore dello stato della democrazia e della libertà di espressione negli Stati Uniti. La questione è: l’America alla fine andrà a sbattere?