Harvard sfida Trump: prove tecniche di Stato autoritario negli Stati Uniti
- di: Jole Rosati

L’università rifiuta le imposizioni della Casa Bianca e rischia quasi 9 miliardi di dollari. La stretta su atenei e libertà civili segna una nuova fase della “democratura” americana.
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L’offensiva della Casa Bianca: obbedire o pagare
L’attacco del governo Trump all’università più prestigiosa del mondo non è un episodio isolato né una vendetta personale: è un passaggio chiave in un disegno più ampio, sistemico, che sta ridefinendo gli equilibri tra potere federale e libertà accademica. Harvard ha rifiutato di piegarsi alle richieste della Casa Bianca e, per tutta risposta, l’amministrazione ha congelato 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni pluriennali e 60 milioni in contratti, mettendo a rischio quasi 9 miliardi complessivi di fondi federali. Una cifra enorme, che potrebbe cambiare per sempre il volto della ricerca e dell’insegnamento in America.
La colpa di Harvard? Non aver accettato le condizioni imposte da una task force governativa: abolire i programmi su diversità, equità e inclusione; vietare le mascherine durante le proteste nei campus; rivedere i criteri di ammissione in nome del "merito" e ridurre il potere decisionale di docenti e dirigenti accusati di attivismo politico. In poche parole: normalizzare il pensiero universitario secondo i canoni ideologici dell’America trumpiana.
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La risposta di Harvard: “Non rinunceremo alla nostra indipendenza”
In una nota ufficiale diffusa lunedì, il presidente di Harvard Alan M. Garber ha dichiarato: “Abbiamo informato l’amministrazione, tramite il nostro consulente legale, che non accetteremo la loro proposta di accordo. L’Università non rinuncerà alla sua indipendenza né ai suoi diritti costituzionali”. La presa di posizione ha fatto il giro del mondo e ha acceso un nuovo fronte nella battaglia culturale americana.
“Non è solo una questione di fondi”, ha spiegato a The Atlantic il professore di diritto costituzionale Noah Feldman. “È la volontà di controllare cosa si insegna, come si assume, cosa si può o non si può dire nei campus. È un attacco diretto all’idea stessa di università come spazio libero e critico”.
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Un modello di democratura: quando la libertà è condizionata
L’episodio Harvard è solo l’ultimo tassello di una strategia che, giorno dopo giorno, fa somigliare sempre più gli Stati Uniti a una “democratura”: una democrazia formale, svuotata però nei fatti da dinamiche autoritarie. Il principio è semplice: chi non si adegua, non riceve risorse. Vale per i giornali, per i media pubblici, per le Ong e adesso anche per le università.
“Il presidente Trump sta lavorando per rendere l’istruzione superiore di nuovo grande, ponendo fine all’antisemitismo incontrollato e garantendo che i fondi dei contribuenti federali non finanzino il sostegno di Harvard a pericolose discriminazioni razziali o alla violenza motivata da razzismo”, ha dichiarato un portavoce della Casa Bianca, difendendo la decisione. Ma per molti osservatori questa è una cortina fumogena.
Secondo l’American Association of University Professors (AAUP), che ha già annunciato una causa contro l’amministrazione, la mossa è incostituzionale: “Punire un’università per il suo orientamento culturale o per la sua governance interna è un abuso di potere senza precedenti nella storia americana”, ha dichiarato il presidente Irene Mulvey. “Siamo di fronte a un pericoloso precedente che può essere replicato ovunque”.
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Altri atenei nel mirino: non è un caso isolato
Harvard non è sola. Nei giorni scorsi, anche le università di Columbia, Cornell, Penn e Northwestern sono state oggetto di indagini da parte del Dipartimento dell’Istruzione. Il denominatore comune è sempre lo stesso: accuse di antisemitismo nei campus (spesso legate a manifestazioni filo-palestinesi), programmi DEI troppo “militanti” e amministratori giudicati troppo permissivi verso l’attivismo studentesco.
Il segretario all’Istruzione, Betsy DeVos Jr., ha difeso il nuovo approccio in un’intervista a Fox News: “Se le università vogliono i soldi dei contribuenti, devono rispettare la legge. E la legge dice che non si può finanziare chi promuove l’odio”. Ma le associazioni dei diritti civili avvertono che dietro l’apparente neutralità legale si nasconde un tentativo di imbavagliare la libertà di parola e di pensiero.
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Una linea rossa per la democrazia americana
Nel cuore di una campagna elettorale già infuocata, la mossa contro Harvard è un segnale d’allarme. “La linea è stata superata”, ha dichiarato il senatore democratico Cory Booker in una conferenza stampa a Washington. “Il governo federale non può ricattare un’università perché non condivide le sue idee. È questo che fanno gli autoritari, non i democratici”.
Anche in Europa, dove molte università mantengono legami con Harvard e ricevono fondi da programmi congiunti, la notizia è stata accolta con sgomento. La Conferenza dei Rettori delle Università Europee ha espresso “profonda preoccupazione per la deriva illiberale che rischia di compromettere l’indipendenza accademica a livello globale”.
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Un bivio per l’America
Il caso Harvard non riguarda solo un’università o un bilancio federale. Riguarda la natura stessa degli Stati Uniti nel 2025. Siamo di fronte a una stretta autoritaria in piena regola, in cui la democrazia viene mantenuta in superficie ma svuotata nei suoi contenuti più profondi. Le università, ultime roccaforti del pensiero critico, diventano ora bersagli da normalizzare.
“Questo è il momento di scegliere”, ha scritto l’editorialista del New York Times Jamelle Bouie. “O difendiamo la libertà accademica oggi, o domani non ci sarà più nulla da difendere”.