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Più alti, più a lungo: la svolta epocale dei tassi

- di: Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm
 
Più alti, più a lungo: la svolta epocale dei tassi

C’è un’espressione che ha preso piede negli ultimi tempi per descrivere l’attuale situazione: “higher for longer”, cioè tassi più alti, più a lungo. Rispetto al passato, quando valeva l’adagio contrario (“lower for longer”), oggi il contesto è completamente diverso. Nel tentativo di combattere l’inflazione, le banche centrali hanno varato una delle più aggressive strette monetarie degli ultimi decenni. A questi fattori si è aggiunta anche una maggiore volatilità: il risultato è un cocktail che ha effetti a livello macro e sulle strategie di investimento, con il ritorno in auge dell’approccio multi-asset.

 

I timori degli investitori 

Gli investitori temono, anzitutto, la possibile rottura del faticoso equilibrio tra tassi più alti e stabilità finanziaria che le banche centrali stanno cercando di mantenere. Le turbolenze che a marzo hanno scosso il sistema bancario statunitense hanno già portato alla luce alcune crepe: i rialzi dei tassi hanno infatti determinato pesanti perdite nel portafoglio di Mortgage Backed Security (strumenti finanziari con collaterale i mutui) della Silicon Valley Bank, portandola al fallimento. Fortunatamente, la regolamentazione varata all’indomani della crisi finanziaria del 2008, unita al tempestivo intervento delle autorità Usa, ha impedito che l’emergenza contagiasse il resto del sistema bancario. 

Il secondo timore degli investitori riguarda un’eventuale stretta creditizia, che, aggravata dalla debolezza del settore bancario americano, potrebbe esercitare una pressione al ribasso sull’indebitamento. Per il momento, tuttavia, i dati di aprile contenuti nell’ultimo rapporto trimestrale della Fed sulle condizioni di credito non mostrano un peggioramento rispetto al trimestre precedente. Anche se queste restano piuttosto restrittive, i numeri sembrano indicare che il peggio sia passato. Lo stesso discorso vale per l’Europa, dove le statistiche relative agli standard di erogazione del credito segnalano un miglioramento sia per i dati passati sia per le aspettative future.  

 

Banche e mutui

In questo contesto cresce anche il costo dei mutui: secondo le simulazioni della Fabi, la Federazione Autonoma Bancari Italiani, le rate dei mutui a tasso fisso sono destinate a raddoppiare, mentre quelle dei mutui a tasso variabile cresceranno fino al 60%. Già adesso, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e della corsa dell’inflazione, le rate non pagate ammontano a 14,9 miliardi di euro. Un’ulteriore conferma arriva dai dati Bankitalia: a maggio il tasso di interesse medio sui mutui (comprensivo delle spese accessorie, Taeg) si è attestato al 4,58%, in crescita rispetto al 4,52% di aprile e al 4,36% di marzo. Per quanto riguarda il credito al consumo, il Taeg sulle nuove erogazioni ha toccato il 10,43% (contro il 10,29% di aprile). Sono saliti anche i tassi sui prestiti concessi alle società non finanziarie, passati dal 4,52% di aprile al 4,81% di maggio.

Come si vede nel grafico qui sotto, sul fronte dei prestiti, se è vero che la situazione per famiglie e imprese non migliora, è anche vero che non si è registrato un peggioramento, al contrario di quanto accaduto in passato. Si tratta di un segnale del fatto che Fed e Bce stanno ancora cercando un equilibrio e che la battaglia non è ancora persa. 

Entrando nel dettaglio del mercato del credito, gli ultimi dati della Bce mostrano che la politica monetaria restrittiva sta funzionando: nell’Eurozona il tasso di emissione di nuovi prestiti risulta in rallentamento. Il rapido aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce nell’ultimo anno ha indebolito la domanda di credito bancario, con effetti sulla dinamica dei consumi, sul mercato immobiliare e sul settore dell’edilizia.
 

Immagine che contiene diagramma, Diagramma, linea Descrizione generata automaticamente

 

Cosa aspettarsi?

Nel complesso, è difficile fare previsioni sull’impatto che potrebbero avere tassi di interesse elevati per un lungo periodo, anche se è probabile che continueranno a pesare sulla crescita economica e, in misura minore, sulla stabilità finanziaria. Questa è una delle principali ragioni per cui le nostre posizioni in portafoglio sono ancora relativamente conservative. In un contesto simile, è infatti complicato prevedere gli andamenti degli asset rischiosi e capire quale classe di attività registrerà le migliori performance. 

Tuttavia, ci sono due punti chiave che gli investitori devono tenere a mente:

 

1.    Le obbligazioni sono tornate attraenti. Dopo anni di rendimenti nulli, anche i titoli di Stato a breve scadenza offrono ritorni interessanti. In questo contesto, torna in auge l’approccio multi-asset, perché un ambiente di tassi elevati a lungo rende la diversificazione ancora più fondamentale. In caso di recessione o di crisi finanziaria, le cose potrebbero però cambiare rapidamente.

2.    I mercati non sempre si fidano delle banche centrali. Spesso i mercati possono ipotizzare un percorso diverso della politica monetaria. In questo caso, la narrazione “più alti, più a lungo” non li spaventa perché potrebbe non riflettersi nei prezzi degli asset. Per quest’anno i mercati non si aspettano un taglio dei tassi, mentre scontano tassi più bassi, sia negli Stati Uniti che in Europa, già per il primo semestre dell’anno prossimo.

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