Il dolore che nutre. “Tre ciotole” diventa film e vola al Festival di Toronto
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

C’è un dolore che si fa linguaggio, e un silenzio che diventa gesto. “Tre ciotole”, l’ultimo libro di Michela Murgia pubblicato poco prima della morte, non è solo un testo letterario: è una meditazione sulla malattia, sulla separazione, sulle piccole forme di resistenza che si radicano nella quotidianità. Oggi quel libro si fa film. Lo firma Isabel Coixet, regista catalana che da anni attraversa i temi dell’intimità e della vulnerabilità con uno sguardo preciso e mai compiaciuto. “Tre ciotole” sarà presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, fuori concorso, per poi arrivare nelle sale italiane il 9 ottobre con Vision Distribution. È un film che non cerca di tradurre, ma di interpretare, come in un rito laico dove cinema e parola si incontrano.
Il dolore che nutre. “Tre ciotole” diventa film e vola al Festival di Toronto
Al centro del racconto ci sono Marta e Antonio, interpretati da Alba Rohrwacher e Elio Germano. Lei smette di mangiare dopo una separazione apparentemente banale. Lui, chef riconosciuto, cerca rifugio nella cucina, ma ne resta prigioniero. Il corpo si sottrae, si ammala, si trasforma in luogo di passaggio e di resistenza. La crisi personale diventa una crisi esistenziale. E come nella struttura del libro, frammentaria e lirica, anche il film lavora per frammenti, visioni, scarti. Il dolore si insinua nel quotidiano, ma è nella ritualità delle tre ciotole – colazione, pranzo e cena – che si apre uno spazio per ricominciare. Una scansione minima, quasi ascetica, che non consola ma restituisce ordine al caos.
Attori e produzione
Il cast, essenziale e di altissimo livello, accompagna lo spettatore in questo viaggio intimo: oltre a Rohrwacher e Germano, ci sono Silvia D’Amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril e Sarita Choudhury. Il film nasce da una produzione italo-spagnola che vede coinvolte Cattleya, Ruvido Produzioni, Bartlebyfilm, Vision Distribution, Buenapinta Media, BTeam Pictures e Perdición Films. Il Ministero della Cultura italiano ha sostenuto il progetto, insieme a Sky e RTVE. La sceneggiatura è firmata dalla stessa Coixet insieme a Enrico Audenino. La regista non tradisce il suo stile: asciutto, controllato, con punte di lirismo visivo che si alternano a un uso sapiente del silenzio.
La fedeltà a Murgia
Michela Murgia non è più con noi, ma questo film – più ancora del libro – ne conserva la voce. Non nella forma dell’ideologia, ma in quella più radicale del gesto. “Tre ciotole” non è un film sulla malattia, né sulla perdita. È un film sulla transizione, sulla soglia, sulla possibilità di stare dentro la crisi senza volerla negare o superare in fretta. La cucina, il corpo, il tempo: tutto si fa simbolo ma non si chiude mai in allegoria. Coixet riesce a restituire quella radicale semplicità che era al cuore del pensiero di Murgia, anche nei momenti più duri della sua battaglia personale.
Verso Toronto e oltre
La scelta del TIFF per l’anteprima internazionale non è casuale. Il festival canadese è da anni uno dei luoghi privilegiati per i film che, pur non cercando i riflettori del concorso, vogliono incontrare un pubblico globale, colto, attento. L’uscita in Italia il 9 ottobre promette già di diventare un appuntamento generazionale. Sarà anche un’occasione per rileggere l’opera di Murgia alla luce del suo testamento emotivo e politico. In un tempo in cui si parla molto di narrazione del sé, “Tre ciotole” sceglie un’altra strada: quella della narrazione del sintomo, della frattura, della paziente ricostruzione.
Una liturgia laica
La potenza di questo film non sta nella drammaticità, ma nella discrezione. Ogni ciotola, ogni silenzio, ogni gesto ripetuto è una forma di resistenza. Marta e Antonio non cercano di guarire, ma di abitare il vuoto che resta. La loro storia non insegna nulla, ma accompagna. E in questo gesto d’accompagnamento – cinema come cura, letteratura come appoggio – si trova forse il vero lascito di Michela Murgia. Non dire “passerà”. Dire: “ti tengo la mano mentre attraversi”.