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Trump è un enigma pericoloso: l’Europa ora trema davvero

- di: Marta Giannoni
 
Trump è un enigma pericoloso: l’Europa ora trema davvero
Dazi, ritiri militari, ultimatum: il presidente Usa spiazza alleati e apre crepe tra le cancellerie. La Nato si divide, Madrid sfida Berlino. Von der Leyen: “Fuori dalla comfort zone”.

Se il vertice della Nato all’Aja doveva segnare la ritrovata unità dell’Occidente, Donald Trump lo ha trasformato in un esercizio di equilibrismo diplomatico. “Dipenderà da come la definite voi”, ha risposto il presidente Usa a chi gli chiedeva conto dell’impegno sull’articolo 5 del Trattato atlantico, quello che obbliga alla difesa collettiva. Una frase che ha fatto gelare le cancellerie europee più del vento del Mare del Nord.

Il sospetto si è trasformato in paura: il tycoon è sempre più imprevedibile. E questa imprevedibilità, questa volatilità nelle scelte, viene ormai considerata il principale fattore di instabilità geopolitica in seno all’Alleanza. Lo ammette, sotto anonimato, un diplomatico francese presente all’incontro a porte chiuse tra Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Keir Starmer: “È impossibile ragionare in prospettiva con una presidenza americana che cambia rotta ogni settimana”.

Una frattura che parte da Washington

L’allarme riguarda il progressivo disimpegno statunitense: meno truppe, meno fondi per l’Ucraina, spostamento del baricentro verso l’Indopacifico. Trump sta valutando una riduzione significativa della presenza militare Usa in Europa, con il trasferimento di reparti chiave verso l’area del Pacifico.

A ciò si aggiunge la stretta sui dazi, che ha congelato ogni tentativo di intesa commerciale: un tema che avrebbe dovuto essere centrale all’Aja, prima che la guerra in Medio Oriente e l’aggressività trumpiana cambiassero le priorità.

Von der Leyen suona la sveglia

“La verità è che dobbiamo essere pronti a lasciare la nostra zona di comfort”, ha dichiarato Ursula von der Leyen al termine del summit. Ha ribadito l’urgenza di dotare l’Unione europea di una capacità militare autonoma entro il 2030. La proposta “Readiness 2030” prevede investimenti comuni e l’obiettivo di destinare almeno il 5% del PIL alla difesa, in una logica di deterrenza strategica autonoma.

Ma se Parigi e Berlino spingono per un'accelerazione, non tutti sono d’accordo.

Madrid guida il fronte del no

È la Spagna a guidare il fronte dei riottosi. Pedro Sánchez ha rivendicato la scelta di non allinearsi all’obiettivo del 5%, sostenendo che “non è accettabile sacrificare le politiche sociali per un aumento della spesa militare imposto da Washington”. A sostenerlo apertamente anche il Belgio e la Slovacchia, che in un documento congiunto hanno parlato di “diritto sovrano” alla definizione del budget nazionale.

Tensioni interne: la frattura dentro la Nato

Ma la posizione spagnola ha acceso le critiche. “Non è corretto cercare eccezioni”, ha detto la premier danese Mette Frederiksen. Sulla stessa linea il ministro della Difesa polacco Kosiniak-Kamysz e il primo ministro svedese Ulf Kristersson: “Non possiamo permetterci privilegi, l’unità è una necessità”.

Persino l’Alto rappresentante per la Politica estera europea, Kaja Kallas, ha rotto gli indugi: “Senza difesa, spendere in altri settori diventa inutile”.

La divisione è netta, e Trump l’ha acuita. Anziché rafforzare l’Alleanza, il presidente americano ha dato voce a tutte le tensioni latenti: tra Est e Ovest, tra chi chiede autonomia strategica e chi teme un isolamento forzato.

Un’Europa in cerca di bussola

Il punto centrale resta uno: quanto può fidarsi l’Europa degli Stati Uniti di Trump? E se la risposta è “dipende”, allora l’unica alternativa è accelerare verso una vera difesa comune europea.

“Non possiamo più vivere nell’illusione che gli Usa ci proteggeranno a ogni costo”, ha scritto Macron in un articolo congiunto con Merz. “Serve responsabilità, serve visione”.

La Nato resiste, ma scricchiola. E nel cuore dell’Europa, tra le stanze delle cancellerie, serpeggia una nuova paura: che l’unico vero alleato possa essere il caos.

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