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Von der Leyen sotto assedio: quel patto sui dazi che spacca l’Europa

- di: Bruno Legni
 
Von der Leyen sotto assedio: quel patto sui dazi che spacca l’Europa
Da Macron a Sánchez, da Merz a Tusk, i leader Ue si smarcano. Trump fa il bullo, l’industria insorge e Bruxelles traballa. Un’Europa senza voce, piegata a un accordo scritto alla Casa Bianca. E il “paracadute” della presidente? Non si è mai aperto.

Quando la realpolitik diventa umiliazione

Ursula von der Leyen ha giocato d’anticipo. Prima dell’incontro con Donald Trump a Turnberry, in Scozia, la presidente della Commissione europea ha fatto il giro delle capitali: Merz, Sánchez, Meloni, tutti consultati, tutti formalmente d’accordo. Nessuno – almeno ufficialmente – ha alzato la mano per dire “attenzione”. Ma dopo la stretta di mano con Trump e l’annuncio dell’accordo che introduce dazi fino al 15% sul 70% delle merci Ue, le stesse cancellerie hanno iniziato a prendere le distanze.

Il paracadute era pronto. Ma non si è aperto.

È stato François Bayrou, primo ministro francese, a sparare per primo: “Un giorno nero per l’Europa. Una resa in piena regola”. L’accordo, ha detto, “non è una tregua, ma una capitolazione diplomatica”.

Dazi al 15%, minacce al 30: l’accordo al ribasso

Il compromesso firmato il 27 luglio 2025 riduce le tariffe minacciate da Trump – fino al 30% su auto, prodotti chimici, agroalimentare – a un tetto massimo del 15%. Ma, dicono gli analisti, si tratta pur sempre di un forte arretramento: nei fatti, l’Unione accetta condizioni penalizzanti pur di evitare uno scontro frontale.

La contropartita è un impegno a investire oltre 600 miliardi in territorio statunitense, più un pacchetto da 750 miliardi in forniture energetiche americane nei prossimi tre anni.

Non solo. L’accordo contiene clausole vaghe su standard tecnici, quote agricole, cooperazione industriale.

La Francia guida la rivolta: “Ursula non ci rappresenta”

Dal fronte francese arriva la bordata più netta. Macron tace, ma il suo entourage fa trapelare “irritazione profonda” per la gestione solitaria della trattativa. Benjamin Haddad, ministro per gli Affari europei, ha chiesto l’attivazione dello strumento anti-coercizione Ue per rispondere a un’intesa “disequilibrata e pericolosa”.

Il Parlamento francese si è espresso con un voto simbolico: una mozione che definisce l’accordo “umiliante” è passata a larga maggioranza.

Berlino si sfila: “Un errore di valutazione”

Più ambigua la posizione tedesca. Il cancelliere Friedrich Merz, che aveva incoraggiato von der Leyen a “chiudere in fretta” con gli americani, ora cambia tono: “Non era questo il compromesso atteso”.

Hildegard Müller, presidente della federazione tedesca dell’automotive, ha dichiarato che “i dazi al 15% costeranno miliardi all’industria”.

Il danno è doppio: l’Europa appare piegata e i benefici sono scarsi.

Madrid e Varsavia insorgono: “Serve un’altra Europa”

Pedro Sánchez si è smarcato. Ha parlato di “occasione persa per rilanciare l’autonomia strategica europea”, proponendo invece una linea più assertiva verso le big tech americane.

Il polacco Donald Tusk ha definito il compromesso “il peggiore mai siglato dalla Commissione”, evocando una possibile mozione di censura parlamentare.

Meloni non attacca, ma si smarca

Giorgia Meloni non partecipa al tiro al bersaglio. Fonti di Palazzo Chigi confermano che la premier ha sempre sostenuto il dialogo con Trump. Ma il governo italiano sottolinea di non aver condiviso alcuni passaggi dell’intesa, in particolare sulla protezione dei marchi agricoli e sulle clausole energetiche.

Trump trionfante e strafottente: “L’ho avuta vinta”

Donald Trump si gode la vittoria. Ha accolto von der Leyen come “ospite importante” e poi si è vantato: “La Ue è venuta da me. Volevano un accordo e io gliel’ho dato. Ma alle mie condizioni”.

Secondo il Washington Post, ha detto: “Mi hanno portato una cartella piena di richieste. L’ho messa da parte. Poi abbiamo chiuso in dieci minuti”.

Il buco nero dell’autonomia europea

Il vero nodo non sono i dazi. Ma la perdita di capacità strategica. L’Europa aveva gli strumenti per reagire: dazi mirati su alcuni segmenti Usa, sanzioni contro le piattaforme digitali, regole più stringenti per la finanza americana. Nulla di tutto ciò è stato messo sul tavolo.

Un piano alternativo – proposto da alcuni commissari – è stato accantonato ad aprile.

Un crollo di credibilità

L’intesa, presentata come “l’unico modo per evitare il peggio”, ha finito per erodere la legittimità della Commissione. Non solo agli occhi dei governi, ma anche dei cittadini. La stampa ha parlato di “Commissione marginalizzata”, di “Europa silenziosa davanti a Trump”, di “accordo vergognoso”.

I mercati voltano le spalle

Lunedì 28 luglio, i mercati europei hanno reagito male: DAX -1%, CAC 40 -0,4%, euro in calo. Male automotive (-3,5%) e lusso (-2,1%). Spread in leggera risalita. Il segnale è chiaro: l’Europa appare più debole.

Il silenzio europeo e la debolezza istituzionale

Al momento nessuno chiede le dimissioni di von der Leyen. Ma il suo potere è fortemente ridimensionato. All’interno della Commissione si parla di “fine politica annunciata” e di “funzione commissariale ridotta a passacarte”.

Una resa annunciata?

L’accordo sui dazi tra Ue e Stati Uniti passerà alla storia non per il contenuto, ma per la forma. Per la sua asimmetria, per l’umiliazione pubblica, per il modo in cui l’Europa ha rinunciato a difendersi.

Von der Leyen ha mancato l’occasione di trasformare una minaccia in leva. Il risultato è un’Europa più esposta, più vulnerabile, meno rispettata.

Trump ha vinto su tutti i fronti. E il suo messaggio è chiaro: “L’America detta le regole, l’Europa le accetta”. Se non reagisce, rischia di non contare più nulla.

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