La Commissione europea ha ufficializzato una lista aggiornata di Paesi considerati sicuri, includendo tra questi Egitto, Tunisia e Bangladesh. Si tratta di una misura destinata a incidere profondamente sulle politiche migratorie degli Stati membri, e in particolare dell’Italia, da anni al centro dei flussi provenienti dal Nord Africa e dal subcontinente asiatico. Le persone originarie da questi Paesi potranno vedere valutata la loro richiesta d’asilo in tempi estremamente ridotti, con un iter che non supererà i tre mesi. Il principio di fondo è quello di velocizzare le procedure per i richiedenti che provengono da nazioni in cui, secondo Bruxelles, non sussistono condizioni sistematiche di persecuzione o di guerra civile.
L’Ue elenca i Paesi sicuri: Egitto, Tunisia e Bangladesh in testa
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha salutato con favore la decisione della Commissione, rivendicando il ruolo dell’Italia nella costruzione di questo nuovo paradigma: “Il nostro Paese – ha dichiarato – è stato decisivo nel cambiare l’approccio di Bruxelles”. Una frase che riflette l’impostazione promossa dal governo italiano sin dal suo insediamento: distinzione netta tra migrazione economica e diritto d’asilo, rafforzamento dei rimpatri e maggiore collaborazione con i Paesi di origine. L’inserimento di Tunisia ed Egitto – due Paesi con i quali l’Italia ha intensificato negli ultimi mesi i contatti diplomatici – rappresenta, in quest’ottica, un successo politico oltre che operativo.
Il peso della cooperazione internazionale sui rimpatri
L’effettiva efficacia del nuovo elenco dipenderà tuttavia dalla capacità degli Stati membri di gestire in modo tempestivo e ordinato i rimpatri dei richiedenti respinti. Il dossier rimpatri è uno dei più delicati all’interno delle politiche migratorie europee, spesso ostacolato da mancanze logistiche, reticenze burocratiche e scarsa cooperazione delle autorità locali nei Paesi terzi. Egitto, Tunisia e Bangladesh sono partner cruciali proprio perché dispongono di strutture statali sufficientemente stabili per garantire la presa in carico dei cittadini non accolti. La sfida sarà garantire che tale collaborazione non venga meno di fronte all’aumento delle domande respinte.
Iter più rapido ma diritti garantiti, promette Bruxelles
Il meccanismo che verrà applicato ai cittadini dei Paesi considerati sicuri non è automatico, ma prevede una trattazione semplificata delle istanze, partendo dal presupposto che, salvo prove contrarie, le richieste d’asilo saranno respinte. La Commissione Ue ha comunque voluto chiarire che ogni persona mantiene il diritto a presentare ricorso e a vedere valutata la propria situazione personale. Il principio di fondo è che l’iter accelerato non costituisce una negazione del diritto d’asilo, ma una forma di razionalizzazione delle risorse, affinché i sistemi nazionali non siano sovraccaricati da richieste manifestamente infondate.
La dimensione politica di un provvedimento tecnico
Dietro la comunicazione tecnica della Commissione si cela una svolta politica rilevante. La decisione arriva in un momento in cui l’Unione Europea è sottoposta a forti pressioni interne sul fronte dell’immigrazione: da un lato, la richiesta di maggiore fermezza da parte di governi conservatori; dall’altro, le istanze umanitarie sollevate da parte della società civile e del Parlamento europeo. La lista dei Paesi sicuri cerca di rispondere a entrambe le esigenze: aumentare l’efficienza e la credibilità del sistema, senza smantellarlo. Un equilibrio complesso, che Meloni e i suoi alleati cercano di rafforzare sottolineando la dimensione della sicurezza e della prevenzione degli ingressi irregolari.
Un banco di prova anche per la tenuta della coalizione europea
Il tema migratorio continua a rappresentare una delle principali linee di frattura tra i governi dei Paesi membri. Le differenze tra le posizioni dell’Est Europa e quelle dell’asse franco-tedesco sono note, ma anche in Italia il dibattito è tutt’altro che pacificato. L’elenco dei Paesi sicuri sarà ora sottoposto al vaglio dei Parlamenti nazionali, che dovranno integrarlo nei rispettivi ordinamenti. La capacità di trasformare questo strumento in una leva realmente operativa dipenderà dalla coesione interna all’Unione, dalla volontà politica dei singoli governi e dalla gestione quotidiana dei flussi ai confini. In questa cornice, l’Italia si propone come un laboratorio politico e amministrativo, pronto a mostrare che rigore e legalità possono convivere con il rispetto dei diritti fondamentali.