Il Parlamento europeo, riunito a Strasburgo, si prepara ad adottare in via definitiva la nuova legge che punta a ridurre lo spreco alimentare e quello tessile, con particolare attenzione al fenomeno della fast fashion, i milioni di capi a basso costo importati ogni anno, soprattutto dalla Cina. Si tratta di una normativa attesa da tempo, che per la prima volta introduce obiettivi vincolanti per gli Stati membri. Entro il 2030, i Paesi dell’Unione dovranno ridurre del 30% gli sprechi alimentari provenienti da famiglie, ristorazione e distribuzione al dettaglio, e del 10% quelli generati da industria alimentare e trasformazione.
Ue, il Parlamento europeo approva la legge contro lo spreco alimentare e la fast fashion
Rispetto alla prima lettura, votata un anno e mezzo fa, gli obiettivi sono stati ridimensionati. Allora l’Eurocamera aveva chiesto tagli del 40% per la distribuzione e del 20% per l’industria. Ma di fronte alle resistenze della Commissione e soprattutto dei governi nazionali, si è raggiunto un compromesso meno ambizioso. Una mediazione che ha permesso di ottenere l’accordo politico, ma che secondo alcune ONG rischia di non essere sufficiente a invertire la rotta in tempi utili.
Il costo degli sprechi in Europa
Secondo i dati ufficiali, ogni cittadino europeo produce in media 130 chili di rifiuti alimentari all’anno, mentre i rifiuti tessili ammontano a circa 15 chili a testa. Il problema, avvertono gli esperti, non è soltanto ambientale ma anche economico: lo spreco di cibo e tessuti genera miliardi di euro di perdite lungo la filiera e contribuisce in modo significativo alle emissioni di gas serra. Nonostante questo, il riciclo nel settore tessile resta quasi inesistente: la gran parte dei vestiti scartati finisce in discarica o viene incenerita.
Il ruolo dei consumatori
Uno dei nodi cruciali è quello del comportamento domestico. Più del 50% degli sprechi alimentari in Europa avviene nelle case dei cittadini. Per questo, molte associazioni di categoria hanno insistito affinché la legge fosse accompagnata da programmi di educazione e sensibilizzazione. «La chiave sta soprattutto nella consapevolezza dei consumatori», afferma Marine Thizon di Hotrec, la lobby europea che rappresenta hotel, ristoranti e bar. Il settore della ristorazione ha infatti respinto l’idea di obiettivi troppo restrittivi, chiedendo di puntare sull’informazione e sulla prevenzione.
Fast fashion nel mirino
Accanto al cibo, la normativa apre anche un fronte sul tessile, e in particolare sulla fast fashion. In media, ogni europeo compra più capi di abbigliamento di quanto non facesse vent’anni fa, ma li utilizza per un tempo molto più breve. Il risultato è una montagna di rifiuti che l’Unione vuole ridurre, incentivando il riuso e il riciclo. Al momento, però, la legge non introduce divieti diretti o meccanismi fiscali specifici: si limita a fissare obiettivi di riduzione per i governi, lasciando agli Stati il compito di tradurli in misure concrete.
Le reazioni
Le associazioni ambientaliste hanno accolto con favore il principio della legge, ma hanno espresso delusione per la mancanza di misure più incisive. Diverse ONG chiedono da tempo un sistema europeo obbligatorio di raccolta differenziata dei tessili e incentivi economici per ridurre lo spreco alimentare nella filiera agricola. Più caute le reazioni delle industrie e della grande distribuzione, che temono costi aggiuntivi per l’adeguamento alle nuove regole.
Una sfida per i governi
La palla passa ora agli Stati membri, che entro due anni dovranno definire i propri piani nazionali di riduzione, con scadenze intermedie e strumenti di monitoraggio. La Commissione avrà il compito di vigilare e, se necessario, avviare procedure di infrazione contro i Paesi inadempienti. La sfida sarà bilanciare la spinta ecologista con la sostenibilità economica delle imprese, evitando che gli oneri ricadano interamente sui consumatori finali.