• Tutto con Bancomat. Scambi denaro, giochi ti premi.
  • Esprinet molto più di un distributore di tecnologia
  • Fai un Preventivo

Università italiane giù: l'80% perde terreno nel ranking CWUR 2025

- di: Bruno Coletta
 
Università italiane giù: l'80% perde terreno nel ranking CWUR 2025
 La Sapienza guida, ma scende; ricerca e finanziamenti i talloni d’Achille del sistema.
________________________________________
La fotografia del ranking CWUR 2025
Sessantasei università italiane sono presenti nella nuova edizione del Global 2000 Ranking pubblicata dal Center for World University Rankings, ma la notizia non è positiva: l’80% di questi atenei è sceso di posizione rispetto allo scorso anno. A emergere con chiarezza è un dato strutturale: il sistema universitario italiano fatica a tenere il passo della concorrenza internazionale, sempre più agguerrita e soprattutto meglio finanziata.
Il quadro tracciato dal CWUR – che analizza oltre 74 milioni di dati su più di 21.000 università a livello mondiale – è netto. Nella classifica definitiva delle migliori 2.000 istituzioni accademiche del mondo, solo 10 università italiane hanno migliorato il proprio posizionamento, 3 lo hanno mantenuto e ben 53 sono arretrate. L’Università La Sapienza di Roma, pur confermandosi la migliore in Italia, scende al 125° posto globale, perdendo una posizione. L’Università di Padova cala di cinque gradini e si assesta al 178°, mentre Milano e Bologna seguono rispettivamente al 191° e 204° posto. La top ten nazionale è completata da Torino (242), Napoli Federico II (243), Firenze (274), Genova (286), Pisa (288) e Pavia (327).

I nodi strutturali: ricerca in affanno e fondi insufficienti
Il CWUR assegna un peso determinante alla produzione scientifica (40% dell’indice totale), ma proprio su questo versante si consuma il tracollo italiano. Soltanto 14 atenei migliorano le performance nella ricerca rispetto al 2024, mentre 52 peggiorano. Un dato preoccupante, che evidenzia le difficoltà croniche del sistema nel garantire un ambiente competitivo a livello globale. Le ragioni? Mancanza di fondi, fuga dei cervelli, burocrazia paralizzante, carenza di strategia.
Il presidente del CWUR, Nadim Mahassen, non ha usato mezzi termini: “L’Italia è ben rappresentata per numero di atenei in classifica, ma il declino nella qualità della ricerca e il limitato supporto pubblico stanno penalizzando pesantemente le università. Mentre altri paesi investono in modo aggressivo in istruzione e innovazione, l’Italia rischia di restare ai margini”. Le sue parole, rilasciate oggi a Dubai, fanno eco a una crescente preoccupazione nel mondo accademico italiano.

Competizione globale e modelli da seguire
A rendere ancora più impietoso il confronto è la rapidissima ascesa di università situate in aree finora considerate periferiche dell’accademia mondiale. Emirati Arabi, Arabia Saudita, Singapore, Corea del Sud e persino il Vietnam stanno scalando le classifiche grazie a investimenti pubblici e privati massicci, incentivi alla mobilità internazionale, programmi ambiziosi di attrazione dei talenti e un’integrazione strategica tra università e industria.
Un esempio è l’Università di Scienza e Tecnologia di Hong Kong, che in soli dieci anni è entrata stabilmente tra le prime 100 al mondo. Ma anche l’Arabia Saudita, con il suo piano “Vision 2030”, ha fatto registrare progressi spettacolari: la King Abdullah University of Science and Technology ha guadagnato 60 posizioni in soli tre anni.

Cosa manca all’Italia: l’analisi degli esperti
Secondo il professor Alessandro Figà Talamanca, già rettore e matematico di fama, “la qualità dei ricercatori italiani è elevata, ma il sistema nel suo complesso non è in grado di valorizzarli: mancano le infrastrutture, i finanziamenti sono instabili, le carriere sono lente e i giovani fuggono”. In un’intervista ha sottolineato che “il problema non è solo economico, ma culturale: l’università in Italia è spesso trattata come un costo e non come un investimento strategico per il futuro del Paese”.
Anche l’Unione degli Universitari (UDU) denuncia da anni un disinvestimento strutturale. In un comunicato del 31 maggio, il coordinatore nazionale Riccardo Laterza ha dichiarato: “Senza un vero Piano nazionale per l’università e la ricerca, non usciremo mai dal pantano. Servono borse di dottorato competitive, assunzioni di giovani ricercatori, fondi per laboratori e mobilità internazionale”.

Una crisi che si riflette sull’economia
La crisi dell’università è anche una crisi del sistema Paese. Secondo il rapporto 2025 del Centro Studi Confindustria, la produttività delle imprese è correlata alla qualità del sistema della ricerca. “L’Italia rischia di restare intrappolata in un modello industriale a bassa intensità tecnologica, mentre il mondo corre verso l’intelligenza artificiale, le biotecnologie e l’automazione spinta”, si legge nel documento presentato il 30 maggio a Roma.
Il divario tra università e mondo produttivo è ancora troppo ampio. Eppure il potenziale non manca: in molte regioni italiane esistono poli d’eccellenza che potrebbero diventare hub di innovazione, se solo fossero messi in condizione di crescere.

Il paradosso: tanti talenti, poca visione
L’Italia continua a formare studenti eccellenti, capaci di affermarsi ovunque. Ma è proprio questo il paradosso: l’università italiana produce capitale umano di alto livello, che viene però spesso assorbito da sistemi più dinamici. Dal Massachusetts Institute of Technology all’ETH di Zurigo, dal Max Planck Institute all’Università di Toronto, i ricercatori italiani fanno brillare le idee... ma lontano da casa.
Il rischio è che la classifica CWUR 2025 sia solo la punta dell’iceberg di un declino più profondo. Un declino silenzioso, ma sistemico.

Serve un piano straordinario
Se non si inverte la rotta ora, il divario con i sistemi più avanzati rischia di diventare irrecuperabile. Il nuovo governo, appena insediato, dovrà considerare l’università e la ricerca come priorità strategiche, non come capitoli residuali di bilancio. L’Italia ha bisogno di un piano straordinario per la conoscenza, sul modello tedesco o sudcoreano, che metta al centro l’innovazione, la dignità del lavoro accademico, il merito e la sostenibilità.
Perché senza università forti, non c’è futuro possibile. Né per l’economia, né per la democrazia.
Notizie dello stesso argomento
Trovati 26 record
Pagina
5
01/12/2025
Trento prima per qualità della vita: la nuova mappa delle economie territoriali italiane
Secondo la nuova edizione della “Qualità della vita” del Sole 24 Ore, Trento è la provinci...
01/12/2025
Emma Bonino, nuova battaglia in rianimazione a Roma
Emma Bonino è ricoverata in terapia intensiva al Santo Spirito di Roma per insufficienza r...
Trovati 26 record
Pagina
5
  • Con Bancomat, scambi denaro, giochi e ti premi.
  • Punto di contatto tra produttori, rivenditori & fruitori di tecnologia
  • POSTE25 sett 720