La vertenza dei metalmeccanici entra in una fase cruciale. Dopo un anno di silenzio sul rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro, Fim, Fiom e Uilm hanno indetto per venerdì 20 giugno uno sciopero nazionale di otto ore, accompagnato da manifestazioni regionali in tutta Italia. Si tratta del culmine di una mobilitazione che ha già portato a quaranta ore di sciopero, alla sospensione degli straordinari e alla diffusione di bandiere sindacali agli ingressi degli stabilimenti. “Senza contratto si sciopera”, affermano i tre sindacati, che accusano Federmeccanica-Assistal di un “atteggiamento irresponsabile” nel continuare a ignorare la necessità di riaprire la trattativa. Una situazione analoga riguarda Unionmeccanica-Confapi, che ha interrotto i colloqui lo scorso 17 marzo senza più riprenderli.
Venerdì 20 giugno, sciopero nazionale dei metalmeccanici: “Senza contratto si sciopera”
Il segretario generale della Fim-Cisl Ferdinando Uliano sarà a Bologna, Michele De Palma (nella foto) della Fiom-Cgil a Napoli, Rocco Palombella della Uilm-Uil a Mestre. Le manifestazioni coinvolgeranno anche Udine, Trento, Bergamo, Aosta, Torino, Genova, Firenze, Ancona, Perugia, Lanciano, Roma, Bari, Potenza, Vibo Valentia, Palermo e Cagliari. L'obiettivo è chiaro: svuotare le fabbriche e riempire le piazze, per costringere le controparti a riaprire il negoziato. Il rinnovo del contratto non è soltanto una battaglia sindacale, ma una questione economica e politica che riguarda il futuro industriale dell’intero Paese.
Il raffronto con l’Europa: quando il contratto diventa leva di sviluppo
In altri Paesi europei, dalla Germania alla Svezia, la contrattazione collettiva è un pilastro dello sviluppo industriale. In Svezia, ad esempio, oltre il 90% dei lavoratori è coperto da contratti collettivi, anche senza un obbligo legale. Questo modello, basato su una forte concertazione tra sindacati e imprese, ha contribuito a sostenere salari, sicurezza e produttività. In Germania, i contratti di settore gestiti insieme dai sindacati e dalle associazioni datoriali hanno garantito stabilità industriale, ridotto le disuguaglianze e favorito una transizione ordinata nei momenti di crisi. L’Italia, al contrario, mostra segnali di regressione: una copertura contrattuale diseguale, soprattutto tra le piccole e medie imprese, salari fermi e contrattazioni spesso bloccate. Una situazione che, secondo molti osservatori, contribuisce alla stagnazione del potere d’acquisto e alla fragilità del sistema produttivo.
Perché i contratti fanno bene all’economia
Aumentare la copertura contrattuale non è solo un atto di giustizia sociale, ma una scelta di politica economica lungimirante. Studi internazionali, dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro all’istituto Bruegel, mostrano come una contrattazione collettiva strutturata e diffusa contribuisca ad aumentare i salari in linea con la produttività, stimolare i consumi, ridurre le diseguaglianze e rafforzare la coesione sociale. Rinnovare il CCNL significa, dunque, rilanciare l’economia interna, favorire gli investimenti e costruire un tessuto industriale capace di reggere le sfide globali. In un sistema dominato da appalti e subappalti, il contratto collettivo resta il principale strumento per garantire diritti, sicurezza e stabilità occupazionale.
Una piattaforma democratica per il futuro
La piattaforma sindacale, approvata democraticamente da lavoratori e lavoratrici, è chiara: aumentare i salari, contrastare la precarietà, rafforzare la sicurezza sul lavoro, evitare le morti bianche e restituire dignità al lavoro in ogni angolo del Paese. La mobilitazione non si fermerà finché non sarà riaperto il tavolo e raggiunto un accordo. Il 20 giugno, i metalmeccanici manifesteranno non solo per il rinnovo di un contratto, ma per difendere il valore del lavoro e rilanciare un modello economico e produttivo più equo, più sicuro, più europeo.