“Chi ha a cuore i palestinesi li accolga. Consentiremo loro di lasciare Gaza”. Con queste parole, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sintetizzato la linea del governo sulla gestione della crisi nella Striscia. L’obiettivo dichiarato è aprire corridoi per l’uscita dei civili, ma senza interrompere le operazioni militari fino a quando Hamas non sarà neutralizzato. La proposta arriva in un momento di forte pressione internazionale, con le principali potenze impegnate a cercare una tregua.
Medio Oriente, Netanyahu: “Chi ha a cuore i palestinesi li accolga”
Egitto, Qatar e Stati Uniti stanno lavorando a un accordo per una cessazione temporanea delle ostilità di 60 giorni, che consentirebbe l’ingresso di aiuti umanitari e la liberazione di alcuni ostaggi in mano a Hamas. La Casa Bianca ha espresso chiaramente la propria posizione: “Vogliamo la fine della guerra e la liberazione degli ostaggi”, ha dichiarato un portavoce. Tuttavia, le trattative restano complicate dalla diffidenza reciproca e dalle condizioni poste da entrambe le parti.
La posizione di Roma e il dialogo con Riad
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto un colloquio telefonico con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Al centro della conversazione, la richiesta di cessare immediatamente le ostilità e di ottenere da Hamas il rilascio incondizionato degli ostaggi, accettando contestualmente di rinunciare a un ruolo politico nel futuro della Striscia di Gaza. Un messaggio chiaro che si inserisce nella strategia italiana di sostenere una soluzione diplomatica, in coordinamento con gli alleati europei e le Nazioni Unite.
Le resistenze interne in Israele
Non tutti, in Israele, condividono la linea del governo. Alcuni reparti di riservisti hanno manifestato contrarietà al piano di evacuazione e alla gestione militare della crisi, temendo che possa compromettere la sicurezza interna e alimentare nuove ondate di ostilità. Le critiche arrivano anche da parte di organizzazioni umanitarie israeliane, secondo cui il trasferimento forzato della popolazione palestinese costituirebbe una violazione del diritto internazionale.
L’Europa valuta lo stop alle forniture militari
Il Consiglio d’Europa ha fatto sapere che, qualora venissero accertate violazioni sistematiche dei diritti umani, raccomanderà agli Stati membri di sospendere le forniture di armi a Tel Aviv. Una posizione che ha trovato il sostegno di diversi governi, in particolare quelli dell’area mediterranea, preoccupati dall’escalation militare e dal rischio di destabilizzazione dell’intera regione.
Lo scetticismo statunitense e il nodo palestinese
Il senatore Marco Rubio, figura di riferimento per la politica estera repubblicana, ha definito “privi di senso” i riconoscimenti unilaterali da parte di Paesi europei di uno Stato palestinese in questa fase del conflitto. Secondo Rubio, ogni mossa diplomatica deve essere coordinata con Washington e deve tener conto della sicurezza di Israele. Sullo sfondo, resta la questione della legittimità politica di Hamas e del futuro assetto della Striscia, tema che divide profondamente la comunità internazionale.
Il peso della crisi sulla popolazione
Intanto, la situazione umanitaria a Gaza si fa ogni giorno più drammatica. Secondo fonti delle Nazioni Unite, le strutture sanitarie sono al collasso, mentre la carenza di acqua potabile e beni di prima necessità rischia di causare una crisi sanitaria su larga scala. Le organizzazioni internazionali chiedono corridoi umanitari sicuri e un cessate il fuoco stabile per consentire la distribuzione degli aiuti.
Una trattativa a tempo
La proposta di tregua di 60 giorni appare, per molti analisti, un compromesso fragile ma indispensabile per evitare un ulteriore deterioramento della situazione. Tuttavia, senza un accordo politico di lungo periodo, il rischio è che alla fine della pausa le ostilità riprendano con ancora maggiore intensità. La sfida diplomatica, quindi, non si limita alla gestione dell’emergenza, ma riguarda la costruzione di un percorso politico capace di garantire sicurezza a Israele e dignità al popolo palestinese.