Un errore, un incidente di percorso, una “défaillance”. Così Cristina Guarda, Benedetta Scuderi e Ignazio Marino (nella foto) dei Verdi italiani spiegano il loro voto favorevole a ReArm Europe, il piano del Parlamento Europeo per potenziare l’industria della difesa dell’Unione. Un voto che, per una formazione storicamente contraria al riarmo, suona come una nota stonata, un cortocircuito politico che fa rumore.
I Verdi e il voto su ReArm Europe: quando l’errore pesa più dell’intenzione
L’ammissione dell’errore è arrivata subito, con la parlamentare Valentina Guarda che ha spiegato a Pagella Politica: “È stato un momento di défaillance”. Ma l’incidente solleva una questione più profonda: come è possibile che una forza politica strutturata, con un’identità chiara, possa sbagliare su un tema così rilevante?
Il significato di un voto sbagliato
ReArm Europe non è un provvedimento secondario. È un cambio di paradigma per l’Europa, una risposta alla guerra in Ucraina e alle nuove minacce globali. Un piano che prevede investimenti nell’industria bellica, incentivi alla produzione di armamenti e maggiore cooperazione tra gli Stati membri.
Per chi, come i Verdi, ha sempre visto la politica estera come uno strumento di mediazione, con un’attenzione particolare al disarmo e alla diplomazia, un voto a favore suona come una contraddizione evidente. E la spiegazione del “momento di défaillance” non è sufficiente a dissipare i dubbi.
Il rischio è che un episodio del genere, pur catalogato come un errore tecnico, getti un’ombra sulla coerenza politica del partito. I Verdi sono da sempre in prima linea contro l’aumento della spesa militare, contro la corsa agli armamenti, contro le logiche di deterrenza che, secondo la loro visione, sottraggono risorse alla transizione ecologica e ai progetti sociali.
E allora, come è possibile che abbiano votato a favore? Disattenzione? Scarsa preparazione? O un disallineamento più profondo tra la rappresentanza italiana e il gruppo europeo?
La fragilità di un movimento diviso
Il caso ReArm Europe svela anche un altro aspetto: la difficoltà di tenere insieme sensibilità diverse all’interno del gruppo dei Verdi europei. In Germania, il partito ecologista, oggi al governo con i socialdemocratici e i liberali, ha sposato una linea più pragmatica sulla difesa, arrivando a sostenere l’invio di armi a Kiev.
In Italia, invece, Europa Verde mantiene un profilo più radicale, ancorato a un pacifismo storico che rifugge dalle scelte di campo nette in politica internazionale. Un dualismo che, alla lunga, potrebbe generare frizioni interne.
L’errore sul voto di ReArm Europe potrebbe essere un semplice incidente parlamentare, ma è il segnale di una fragilità più ampia. Non è un caso che, dopo la pubblicazione del voto, si sia subito cercato di minimizzare, di riportare la discussione sui binari della coerenza programmatica.
Ma la politica, si sa, vive di atti concreti. E quando un voto si traduce in un sostegno ufficiale a un piano di riarmo europeo, non basta un comunicato di rettifica per cancellarne il peso.
Il rischio di un precedente scomodo
Il punto non è tanto se i Verdi italiani fossero consapevoli o meno del loro voto, ma se abbiano il controllo della propria linea politica. Se l’errore nasce da una leggerezza, è grave. Se nasce da un’incertezza strategica, è ancora più grave.
Perché la politica estera non concede spazi di ambiguità. E se un movimento come i Verdi, che ha sempre fatto della chiarezza valoriale il proprio tratto distintivo, inizia a dare segnali di incertezza, il rischio è quello di perdere credibilità.
Oggi è ReArm Europe. Domani potrebbe essere un altro dossier. E a quel punto non basterà più parlare di “défaillance”.