Dow in rosso di un soffio, Nasdaq ancora in corsa. In Asia il Nikkei scivola, Hong Kong zoppica, India e Australia vanno a zig zag mentre il mondo aspetta il verdetto Fed.
Chiusura Wall Street: record a portata di mano, ma il Dow inciampa
A New York la seduta di giovedì 4 dicembre si è chiusa con il fiato corto ma ancora
a un passo dai massimi storici. Lo S&P 500 ha archiviato la giornata a
6.857,12 punti, in rialzo dello 0,11%, appena mezzo punto percentuale sotto il suo
record assoluto. Il Nasdaq Composite ha fatto ancora meglio, salendo di
51,04 punti (+0,22%) a 23.505,14, mentre il Dow Jones Industrial Average ha
fatto da guastafeste, scendendo di 31,96 punti (-0,07%) a 47.850,94, comunque uno dei
livelli di chiusura più alti di sempre.
Le tre grandi piazze americane hanno quindi chiuso quasi piatte, ma il quadro
d’insieme resta di forza: dall’inizio dell’anno l’S&P 500 è in progresso di oltre il
16%, il Dow di circa il 12% e il Nasdaq di oltre il 21%, a conferma di un
2025 che finora ha premiato soprattutto tecnologia e small cap.
Proprio i titoli a minore capitalizzazione hanno rubato la scena: il Russell 2000 è
salito di circa lo 0,8% fino a quota 2.531 punti, aggiornando i massimi storici e
diventando la cartina di tornasole della ritrovata voglia di rischio degli investitori
americani nelle ultime sedute.
Perché Wall Street si è fermata: Fed, dati macro e titoli in evidenza
Il mercato non è in apnea, ma quasi. Gli operatori hanno passato la seduta a
pesare ogni dato macro in funzione della riunione della Federal Reserve del 10 dicembre,
dove è ormai prezzata in modo massiccio la possibilità di un taglio dei tassi di
25 punti base. I future sui Fed funds incorporano una probabilità vicina al
90% di una mossa espansiva, dopo che i dati su occupazione e servizi hanno mostrato
un’economia sì resiliente, ma non più surriscaldata.
Le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti sono scese ai
minimi da oltre tre anni, segnale che il mercato del lavoro fatica a raffreddarsi davvero.
Allo stesso tempo, l’indice ISM servizi resta in area espansione, ma la componente prezzi
continua a mostrare un rallentamento delle pressioni inflazionistiche. Un mix che alimenta
la narrativa perfetta per Wall Street: crescita non esplosiva, inflazione in rientro e Fed pronta a tagliare.
Tra i singoli titoli, la seduta è stata un mosaico di storie diverse. Il mercato ha
punito Snowflake, crollata di circa il 10% dopo aver presentato margini operativi attesi
più deboli per il trimestre corrente, nonostante conti migliori del previsto, segno di
quanto gli investitori siano esigenti sul fronte crescita e redditività nel comparto cloud.
All’opposto, alcuni big dell’hardware e del software hanno continuato a beneficiare del
tema intelligenza artificiale, sostenendo il Nasdaq.
Sul fronte consumer, il mercato ha premiato storie difensive e retail selezionato, mentre
tra i titoli industriali e dei servizi di comunicazione si sono registrati acquisti in
scia al tema “ciclo che rallenta ma non deraglia”. Alcuni nomi come Dell Technologies
hanno chiuso la giornata con guadagni robusti, segnalando che gli investitori sono pronti a
premiare chi mostra numeri solidi in un contesto già molto caro in termini di valutazioni.
Obbligazioni, dollaro, oro e petrolio: il sottofondo del mercato
Mentre Wall Street sfiorava i massimi, il mercato obbligazionario continuava a lanciare
segnali da non sottovalutare. Il Treasury decennale USA si è assestato intorno al
4,1%, dopo un ulteriore lieve rialzo dei rendimenti, in un contesto in cui l’attenzione
è tutta sul dato ritardato della PCE core, l’indicatore di inflazione preferito dalla Fed.
Sul Forex, l’indice del dollaro, dopo nove sedute consecutive di calo, ha interrotto la
serie, rimbalzando leggermente e riportandosi vicino a quota 99, grazie alla combinazione
di aspettative di taglio Fed e timori geopolitici.
Le materie prime hanno viaggiato in ordine sparso: il Brent è risalito attorno ai
63 dollari al barile, mentre l’oro ha consolidato poco sopra i 4.200 dollari
l’oncia dopo aver toccato nuovi massimi storici nelle scorse settimane. Segnali di un mercato
che resta in modalità “risk-on moderato”: si compra azionario, ma si mantengono ancora
coperture in oro e duration sui bond.
Come ha sintetizzato un gestore intervistato a New York, i listini statunitensi stanno
vivendo una fase in cui “le valutazioni sono tirate, ma la narrativa dei tagli Fed è troppo potente per essere ignorata”.
L’idea dominante è che un primo taglio a dicembre possa inaugurare una fase di politiche
monetarie meno restrittive nel 2026, senza compromettere la credibilità della banca centrale
sul fronte inflazione.
Apertura Asia: Nikkei giù, Hang Seng debole, Cina cauta
Se New York ha chiuso sfiorando i massimi, l’Asia si è svegliata con il piede sinistro.
Nella mattinata di venerdì 5 dicembre, la prima reazione delle Borse asiatiche è stata
improntata a una cauta correzione, soprattutto in Giappone.
A Tokyo, l’indice Nikkei 225 ha ceduto circa il 1,5%, cancellando i guadagni della
settimana. A pesare è stato un dato sulla spesa delle famiglie in calo al ritmo più rapido
degli ultimi due anni, che ha alimentato il timore di un’inflazione che erode il potere
d’acquisto e, paradossalmente, ha rafforzato le attese di una prima vera stretta della Bank of Japan
già a dicembre.
Il mercato obbligazionario giapponese ha reagito con un balzo dei rendimenti: il
JGB decennale è volato fino a circa 1,94%, massimo dal 2007, prima di attirare nuova
domanda in asta. Sul Forex, lo yen si è stabilizzato attorno a 155 per dollaro, dopo
giorni di volatilità legata alle aspettative di rialzo tassi in Giappone.
In Cina il tono è stato più sfumato: l’indice CSI 300 delle blue chip è riuscito a
mettere a segno un frazionale rialzo di circa lo 0,1%, mentre lo Shanghai Composite è
rimasto praticamente invariato, segnale di una Borsa ancora intrappolata tra i timidi
segnali di sostegno politico a economia e immobiliari e la sfiducia degli investitori
internazionali verso il mercato cinese.
A Hong Kong, il Hang Seng è scivolato di circa lo 0,4-0,5%, intorno a
25.800 punti, avviandosi verso una settimana in rosso. Il listino è stato zavorrato dai
titoli tecnologici e immobiliari, con gli operatori che preferiscono ridurre l’esposizione
in attesa delle decisioni di Fed, BoJ e altre banche centrali nei prossimi giorni.
Corea, India, Australia, Sud-est asiatico: tutte le asiatiche, una mappa
Nel resto del continente la fotografia dell’apertura odierna è quella di un’Asia
spaccata tra prudenza e rimbalzi selettivi.
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In Corea del Sud, l’indice Kospi ha mostrato un’impostazione migliore rispetto al
resto della regione, con un progresso di circa lo 0,7%, sostenuto da difesa,
costruzioni e selezionati titoli tecnologici, a conferma del ruolo di Seoul come
scommessa tattica sull’export di semiconduttori.
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In Australia, l’ASX 200 ha aperto in lieve calo, in scia alla chiusura mista di
Wall Street, zavorrato in avvio da banche e tecnologia, mentre il comparto energia e
minerario ha provato a limitare i danni. Il listino resta comunque impostato a
chiudere la settimana in perdita.
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A Singapore, lo Straits Times Index oscilla appena sotto la parità, in calo di
pochi decimi di punto, riflettendo la fragilità del sentiment su banche e immobiliari
in un contesto di tassi ancora elevati e commercio globale meno brillante.
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In India, la Borsa arriva all’apertura odierna dopo una seduta di giovedì chiusa in
rialzo, con S&P BSE Sensex e Nifty 50 che hanno aggiornato i massimi di periodo
grazie a tecnologia e large cap domestiche. I future su Nifty (GIFT Nifty) indicano
però per stamattina un avvio più prudente, allineato alla correzione vista sul resto
dell’Asia.
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A Taipei, il Taiex si muove in modo contrastato, con i big dei chip che oscillano
tra prese di profitto e nuovi acquisti sulla scia del tema IA, mentre nella regione
ASEAN gli indici di Bangkok, Kuala Lumpur e Jakarta mostrano variazioni contenute,
in attesa dei prossimi dati macro USA e cinesi.
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In Nuova Zelanda, l’NZX 50 resta poco mosso, dopo un inizio di mese caratterizzato
da movimenti molto contenuti e dall’attenzione alle prospettive di crescita interna
più che al quadro globale.
Nel complesso, l’MSCI Asia-Pacific ex Japan si muove in lieve calo, intorno a un
-0,1%, confermando un tono di consolidamento dopo i guadagni dei giorni scorsi e
allineando l’area alla fase di “pausa alta” già vista a Wall Street.
Il filo rosso: Fed, BoJ e la grande partita dei tassi
Dietro questi numeri, il filo conduttore è chiarissimo: la partita dei tassi. Negli
Stati Uniti, i mercati sono ormai convinti che la Fed taglierà i tassi già alla riunione
della prossima settimana. Gli strategist parlano apertamente di una “probabilità
prossima al 90%” per una sforbiciata da 25 punti base.
Un’eventuale combinazione di taglio Fed e cauta comunicazione (“cut and pause”,
taglio e pausa di osservazione) viene vista come il miglior compromesso possibile: un
segnale di sostegno a un’economia che dà qualche scricchiolio sul fronte occupazione, ma
senza riaccendere i timori di una nuova fiammata inflazionistica.
In Giappone, al contrario, il dibattito è se la Bank of Japan stia finalmente per
dire addio a oltre un decennio di tassi ultra-negativi: i mercati prezzano ora una
probabilità intorno al 75% di un rialzo già a dicembre, complice il cambio di tono del
governatore Kazuo Ueda e le indiscrezioni su un governo pronto a tollerare una stretta
moderata pur di frenare l’indebolimento dello yen.
Questa divergenza di traiettorie tra Fed e BoJ sta ridisegnando i flussi globali:
il Giappone torna ad attrarre capitale obbligazionario grazie a rendimenti in risalita,
mentre il dollaro, pur rimanendo forte nel confronto storico, mostra i primi segni di
flessione strutturale dopo la lunga corsa del ciclo restrittivo americano.
Cosa significa per gli investitori: azioni ancora protagoniste, ma con cintura di sicurezza
Il quadro combinato di Wall Street vicina ai massimi e Asia in ordine sparso offre
una lettura piuttosto netta: il 2025 si sta chiudendo come un anno in cui l’azionario
resta l’asset class dominante, ma la selettività è diventata cruciale.
Negli Stati Uniti, la forza relativa di Nasdaq e small cap racconta un mercato che
continua a scommettere su innovazione e crescita domestica, mentre il Dow – più ciclico e
più legato all’economia reale tradizionale – segna il passo. In Asia, la polarizzazione è
evidente: Giappone e Corea restano i cavalli di battaglia di chi crede nel tema
semiconduttori e reshoring manifatturiero, mentre Cina e Hong Kong continuano a
soffrire di sconto strutturale per motivi sia politici che macroeconomici.
Sullo sfondo, la combinazione di oro su livelli record, rendimenti reali positivi
e dollaro meno tonico obbliga i gestori globali a ricostruire portafogli meno sbilanciati:
più diversificazione geografica, più attenzione alle valute e, in molti casi, una
cintura di sicurezza obbligazionaria più robusta rispetto agli anni del “TINA”
(There Is No Alternative) all’azionario.
Nell’immediato, il messaggio dei mercati è semplice e piuttosto categorico:
finché il taglio Fed resta sul tavolo e la recessione non si materializza nei numeri duri, ogni correzione è prima di tutto un’occasione di ribilanciamento, non la fine del ciclo.
Il vero test arriverà con i prossimi dati di inflazione e lavoro: solo allora si capirà
se la volata di fine anno è l’inizio di una nuova gamba rialzista o l’ultimo sprint prima
di una lunga fase laterale.