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"Il cielo sopra l’Ucraina", intervista al Generale Vincenzo Camporini

- di: Leonardo Dini
 
'Il cielo sopra l’Ucraina', intervista al Generale Vincenzo Camporini
Il generale Vincenzo Camporini è stato capo di stato maggiore dell'Aeronautica Militare e della Difesa. Candidato, nel 2018, al Senato per + Europa e, quindi, nel 2019, tra i promotori della nascita di Azione, Camporini viene considerato tra i più attenti analisti (fa parte dell'Istituto Affari Internazionali) di vicende legate a conflitti. Italia Informa gli ha rivolto delle domande, partendo dalla situazione in Ucraina fino ad arrivare alla situazione dell’Aereonautica italiana.

L'analisi tattico-strategica di quanto sta accadendo in Ucraina conferma che uno dei temi più complessi è il dominio dei cieli. Qual è oggi la situazione della guerra dal punto di vista dei combattimenti e degli schieramenti aeronautici?  L'aeronautica potrà avere nei prossimi mesi un ruolo decisivo in questa guerra?

Una delle cose più sorprendenti è stata ed è tuttora l’apparente incapacità da parte russa di assicurarsi fin dalle prime ore il dominio dell’aria, cioè la piena disponibilità della terza dimensione, negandola all’avversario che, nella dottrina occidentale,  è uno dei primi, se non il primo obiettivo da conseguire. Varie possono essere le motivazioni, da carenze addestrative ad efficienza dei mezzi, ma la causa fondamentale sta a mio avviso nella strategia russa (derivata da quella sovietica), che vede nel mezzo aereo solo un supporto alle forze di terra e non ne riconosce la intrinseca valenza strategica. Le conseguenze sul terreno sono quelle che vediamo e che ci ricordano situazioni operative che credevamo superate dai tempi della Prima guerra mondiale

Il tema dell'esercito europeo è nella agenda Ue. Come va costruita un'aeronautica militare comune europea e come deve coordinarsi con Nato e con Inghilterra?

Premesso che di Forze armate europee si potrà parlare a valle (almeno concettualmente) di una politica estera comune convintamente e stabilmente condivisa, la strada è quella in primis dell’interoperabilità, intesa come consuetudine addestrativa e una condivisione degli armamenti, ma si deve puntare ad una piena standardizzazione dei sistemi d’arma: è uno spreco inconcepibile che in Europa si sviluppino per lo stesso ruolo due velivoli diversi, come è accaduto nel binomio Eurofighter-Rafale e sta accadendo con Tempest e FCAS. Un salto di qualità in questa direzione consentirà una integrazione ottimale con la NATO. 

L'Italia è una eccellenza nel settore aerospaziale europeo e dispone di una ottima aeronautica. Cosa pensa dello sviluppo tecnologico e della evoluzione della Aeronautica militare in Italia?

Nonostante le ristrettezze di bilancio, l’Aeronautica Militare Italiana è riuscita a sviluppare uno strumento dotato di tutte le capacità necessarie, armonicamente integrate, con tecnologie e modalità di impiego allo stato dell’arte, più e meglio di altre forze aeree blasonate. Ha però dei problemi dimensionali (improvvida fu la decisione di ridurre da 135 a 90 il numero di F35 da acquisire) e di adeguatezza delle scorte logistiche, in particolare di armamento. Una carenza particolarmente sentita da tutto lo strumento militare nazionale è relativa ai sistemi missilistici contraerei e antibalistici, che devono essere sostanzialmente integrati sia quantitativamente che in termini di capacità.

Il peacekeeping Onu e Aeronautica militare italiana: un bilancio storico e la prospettiva per il futuro.

Negli ultimi due decenni l’impiego delle forze armate italiane, e quindi anche dell’Aeronautica, è avvenuto esclusivamente in operazioni genericamente indicate di “peacekeeping”, il che ha a volte distolto l’attenzione dalle capacità di operare in ambienti cosiddetti “ad alta intensità”. Occorre al riguardo considerare anche le responsabilità della classe politica che, nonostante le pressanti insistenze dello Stato Maggiore, ha ritardato e a volte impedito la dotazione e l’utilizzazione di armamento offensivo da parte dei velivoli dell’AM. Esemplare al riguardo l’impiego in Afghanistan e in Iraq nel solo ruolo di ricognizione. Recenti evoluzioni del quadro politico sembrano indicare una necessaria inversione di tendenza.
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