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La strage degli innocenti

- di: Germana Loizzi
 
La strage degli innocenti
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo abbi pietà di noi… Ma ve l’immaginate Gesù che, coltello alla mano, si mette a sgozzare agnellini per poi papparseli? Io no, perché al di là della fede la Storia ci restituisce un Gesù di Nazareth come un Profeta illuminato, buono, compassionevole, pacifista, misericordioso. E chissà, magari era pure vegetariano. Pur non avendone le prove, non mi sento affatto di escluderlo. Ed anzi, in cuor mio sento che è così. Del resto stiamo sempre parlando di un uomo capace di sacrificarsi per ideali di pace e amore. Uno che predicava di amare il prossimo tuo come te stesso, e non mi risulta che ne precisasse la specie.  Ma al di là delle suggestioni, la verità è che la brutale tradizione di macellare agnelli a Pasqua si ricollega molto di più alla Pasqua ebraica, la cosiddetta Pèsach o Pesah, che non celebra la morte e resurrezione di Cristo ma la liberazione dall’oppressione egiziana e l’esodo verso la Terra Promessa. Tant’è vero che nei Vangeli, e più in generale nel messaggio di Gesù Cristo, non v’è traccia alcuna dell’ossessione per i sacrifici rituali, così frequenti invece nell’Antico Testamento. Che peraltro è carico di contraddizioni, perché anche lì vi è letteralmente scritto: “Mi avete sacrificato un gran numero di ovini e di bovini, ma a me non da piacere il sangue dei manzi, degli agnelli o dei capretti; quando voi alzate le mani, Io distolgo gli occhi da voi e quando pregate non vi ascolto, perché le vostre mani sono sporche di sangue” (Isaia 1:5). Ora, non vorrei impelagarmi in astruse questioni teologiche che durerebbero una Quaresima (è il caso di dire), ma a naso mi vien da dire che per i cristiani l’Agnello era Gesù stesso. Basti pensare che già nel lontanissimo 364 d.C. il sinodo di Loadicea sancì l’inutilità del cibarsi di agnello nel giorno di Pasqua proprio perché afferente ad una tradizione ebraica e non cristiana. In tempi ben più recenti, precisamente nel 2007, fu addirittura Papa Benedetto XVI a mettere in discussione questa crudele pratica definendola un “gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio”. Sarebbe bello se l’attuale Papa, che peraltro ha scelto il nome di uno che parlava con gli animali e fu autore dello struggente Cantico delle Creature, ci mettesse una parolina buona. Personalmente lo attendo, invano, da anni. Magari non cambierebbe nulla. O magari sì, perchè seminando il dubbio dall’alto di quella finestra a San Pietro forse pian piano si riuscirebbe ad estirpare una tradizione che di cristiano non ha un bel nulla. Tecnicamente Gesù Cristo si offre come l’Agnello di Dio che si immola per salvarci. Quindi che bisogno c’è di ammazzare l’Agnello? Senza contare che se Gesù è l’Agnello e noi lo ammazziamo… lo stiamo festeggiando come risorto o martirizzandolo di nuovo? Capite bene che non ha alcun senso. Ragion per cui, oggi più che mai, è semplicemente e banalmente una usanza anacronistica, barbara e pure un po’ ridicola basata, tanto per cambiare, sul business. Religione a parte, anche chi mangia abitualmente carne dovrebbe rifiutarsi di avallare questa pratica violenta di trucidare dei cuccioli appena nati per santificare la Pasqua. Innanzitutto perché non è certo questo il modo di “santificare” una festa. E poi perchè si accumula solo cattivo karma… oltre che cattiva salute. Ma se volete farlo, abbiate almeno il coraggio (e il pelo sullo stomaco) d’esser coerenti e pienamente consapevoli dell’orrore di cui vi rendete complici. Guardatevi uno dei tanti video che girano in rete sulle modalità di allevamento di agnelli e capretti, perché i tempi dell’ignoranza di comodo sono finiti. Se proprio siete dei vigliacchi, sceglietene uno provo di audio, perché vi assicuro che il loro pianto sembra quello di un neonato umano. Poi mangiateveli pure, dolore e sofferenza inclusi, almeno non sarete ignoranti. Ma solo spietati. Intanto sappiate che già solo i numeri fanno accapponare la pelle. Stiamo parlando di oltre 300mila agnelli massacrati solo nei giorni a ridosso della Santa Pasqua. Anche ora, in questo preciso momento. Un massacro che comincia al primo vagito, dal momento che queste creature vengono strappate quasi subito alle loro mamme per essere rinchiusi ammassati uno sull’altro. A loro, vittime sacrificali nel nome della più inutile e crudele tradizione, non viene nemmeno concesso di brucare l’erba perché così la loro carne sarà più tenera e buona.

La mattanza degli innocenti

 
Il viaggio verso il macello di queste povere anime di nemmeno un mese è una via crucis, e mai espressione fu così appropriata. Stipati nei camion, senza acqua e con pochissima aria per ore ed ore. Inconsapevoli d’una fine che pare non arrivare mai a liberarli dal dolore. Nel periodo pasquale il carico di lavoro per le catene di montaggio dei macelli è talmente alto che può capitare, e capita molto spesso, che si salti il processo di stordimento degli animali obbligatorio per legge: in questo modo gli agnelli sono completamente vigili e si rendono conto di tutto quello che accade, dai rumori dei macchinari ai lamenti strazianti dei loro simili in fin di vita. Con sadica brutalità gli agnellini vengono appesi per una zampa sui nastri trasportatori. Restano così, in una raccapricciante posizione innaturale in attesa del loro turno. Alla fine viene tagliata loro la gola e si attende che muoiano dissanguati mentre sono tenuti a testa in giù per permettere al sangue di defluire all’esterno del corpo con la povera bestiola che, in assenza di stordimento, si contorce e lancia grida acutissime e lancinanti. E’ esattamente questo ciò di cui vi rendete complici mettendo in tavola quel succulento agnello con le patate che vi fa tanto tradizione e famiglia. Dovete sapere, vedere, udire. Solo a quel punto avrete il diritto di assaporare. Nessuna Pasqua di resurrezione. Soltanto orrore per questa strage degli innocenti. E non venitemi a dire che Gesù Cristo avrebbe voluto questo in suo nome, perché non ci crederò mai. 
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