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L’Aglianico incorona il Vulture: sarà “Città italiana del Vino 2026”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
L’Aglianico incorona il Vulture: sarà “Città italiana del Vino 2026”

FOTO: Generale Lee - CC BY-SA 3.0

Il Vulture diventa capitale del vino italiano. Il territorio della Basilicata che abbraccia quattordici comuni, da Rionero in Vulture a Venosa, con capofila Ripacandida, è stato designato “Città italiana del Vino 2026” dall’Associazione nazionale Città del Vino. Un titolo che raccoglie il testimone dai Castelli Romani e che premia un progetto capace di tenere insieme sviluppo territoriale, tradizione agricola e visione enoturistica.

L’Aglianico incorona il Vulture: sarà “Città italiana del Vino 2026”

Non è un riconoscimento solo simbolico. La candidatura del Vulture è stata preferita a quelle presentate da Abruzzo, Sicilia e Veneto. A convincere la giuria è stato il respiro del progetto: un disegno che ambisce a fare del Vulture un laboratorio nazionale di pratiche legate al vino, capace di intrecciare cultura, paesaggio, gastronomia ed economia. Come ha spiegato il direttore di Città del Vino, Paolo Corbini, l’idea vincente è stata quella di mettere l’accento sulla connessione fra il prodotto enologico e lo sviluppo complessivo del territorio.

L’identità dell’Aglianico
Al centro, naturalmente, c’è lui: l’Aglianico del Vulture, vitigno che ha fatto della Basilicata un nome riconosciuto sulle mappe enologiche internazionali. Un vino austero, di struttura, capace di raccontare nel calice l’origine vulcanica dei suoli e la forza delle colline che si specchiano sul monte Vulture. La designazione come “Città italiana del Vino” diventa così anche un’occasione per rilanciare un marchio che è simbolo di identità, radici e appartenenza.

Turismo ed economia
Per il territorio l’anno 2026 si annuncia come una vetrina irripetibile. Sono previste attività enoturistiche, culturali, ambientali e socioeconomiche che accompagneranno i dodici mesi della designazione. Degustazioni, percorsi naturalistici, festival gastronomici e iniziative culturali intrecceranno la narrazione del vino con quella del paesaggio. L’impatto atteso è rilevante: la filiera dell’accoglienza – ristorazione, ricettività, servizi – sarà chiamata a sostenere un afflusso crescente di visitatori italiani e stranieri.

In un contesto in cui il turismo enogastronomico rappresenta un segmento in forte crescita, il Vulture potrà posizionarsi come meta di qualità, capace di offrire non solo prodotti ma esperienze. E per un’area interna come questa, spesso esclusa dai grandi flussi, il riconoscimento si traduce in opportunità di crescita economica e sociale.

Cultura e patrimonio

Ma non c’è solo il vino. Il programma del 2026 intende valorizzare anche il patrimonio materiale e immateriale del Vulture: borghi, tradizioni popolari, saperi artigianali, paesaggi modellati nei secoli dalla viticoltura. La vigna diventa chiave di lettura per comprendere un territorio che ha saputo resistere allo spopolamento e che ora cerca di costruire un futuro partendo dalle proprie eccellenze.

La scelta del Vulture porta con sé anche un messaggio politico: riconoscere valore alle aree interne, farne protagoniste di un racconto nazionale che troppo spesso privilegia le grandi città o le destinazioni già consolidate.

Una sfida da cogliere
Il titolo di “Città italiana del Vino” non è un punto d’arrivo, ma una responsabilità. Richiede organizzazione, capacità di fare rete, visione comune tra i quattordici comuni coinvolti. È la sfida di un territorio che deve dimostrare di saper trasformare un’etichetta prestigiosa in risultati concreti: aumento dell’attrattività, occupazione, crescita della filiera enologica e turistica.

Il Vulture si candida così a diventare modello di sviluppo per altre aree del Mezzogiorno: dimostrare che si può competere non solo con le spiagge o i siti archeologici, ma con un prodotto agricolo che si fa cultura, economia, identità.

Il calice e il futuro

Nel 2026 l’Italia del vino guarderà al Vulture. Sarà un anno di eventi e celebrazioni, ma soprattutto di investimenti e opportunità. Perché dietro un bicchiere di Aglianico non c’è solo il piacere della degustazione: c’è la possibilità di costruire un racconto nuovo per la Basilicata, di renderla protagonista sulla scena nazionale e internazionale.

Il riconoscimento premia un territorio e un vitigno, ma anche un’idea: che il vino, se raccontato e valorizzato, possa diventare motore di sviluppo, collante sociale, simbolo di appartenenza. E che il futuro di un’area interna possa partire da una vigna, da un calice, da un sorso di Aglianico.

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