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L’Albania tra diritto e politica: la Cassazione blocca il piano migranti e interpella la Corte Ue

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
L’Albania tra diritto e politica: la Cassazione blocca il piano migranti e interpella la Corte Ue

Il Protocollo tra Italia e Albania per la gestione dei migranti, al centro dell’agenda del governo Meloni, incontra un ostacolo pesantissimo: la Corte di Cassazione ha deciso di sospendere due ricorsi del Ministero dell’Interno, rimettendo il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. A essere contestata è la legittimità dei trattenimenti nei centri albanesi di migranti irregolari, soprattutto in caso di richiesta d’asilo. L’organo supremo della giurisdizione italiana, nella sua Prima Sezione Penale, ha formulato due quesiti preliminari destinati a Lussemburgo, che suonano come un allarme istituzionale: il piano sarebbe potenzialmente incompatibile con il diritto europeo.

L’Albania tra diritto e politica: la Cassazione blocca il piano migranti e interpella la Corte Ue

Il primo rinvio si concentra sulla Direttiva Rimpatri del 2008: secondo i giudici, è lecito domandarsi se si possa effettivamente trattenere in Albania chi si trova in Italia senza permesso di soggiorno, qualora non vi sia una reale e immediata possibilità di rimpatrio nel Paese d’origine. Il secondo quesito verte sulla Direttiva Accoglienza del 2013: cosa accade se, una volta trasferiti in Albania, i migranti presentano domanda di protezione internazionale? Si possono ancora considerare “irregolari” e trattenere? Il dubbio è sostanziale, e riguarda il rispetto delle norme che regolano l’asilo nell’Unione europea.

Il centro di Gjader, tra finzione giuridica e realtà

Alla base dei ricorsi c’è un presupposto ormai traballante: che i centri in Albania siano, giuridicamente, un’estensione del territorio italiano. Lo aveva stabilito una precedente pronuncia della stessa Cassazione. Ma oggi gli ermellini ci ripensano: “La Corte – si legge nell’ordinanza – ritiene che la questione non sia affatto scontata”. Il centro di Gjader, destinato ad accogliere i migranti irregolari intercettati in mare fuori dalle acque territoriali italiane, è tecnicamente su suolo albanese, retto da un accordo bilaterale. Ma le conseguenze giuridiche sono tutt’altro che marginali.

La Corte d’Appello di Roma, nei due casi finiti in Cassazione, aveva già annullato i provvedimenti di trattenimento per due migranti, proprio perché privi di una base legale europea che autorizzasse l’Italia a gestire richieste d’asilo fuori dal proprio territorio. E ora anche la Cassazione mette nero su bianco che quei dubbi non possono essere liquidati come cavilli, ma richiedono una risposta autorevole dalla Corte Ue. Fino ad allora, l’effettiva operatività dei centri in Albania resta sospesa.

Le reazioni politiche: trionfo dell’opposizione, imbarazzo nel governo

La decisione della Cassazione è stata salutata con entusiasmo dalle opposizioni, che da mesi contestano il Protocollo con Tirana come costoso, inefficace e contrario ai principi dello Stato di diritto. “Una sonora bocciatura – commenta Angelo Bonelli (AVS) –: questo piano è l’ennesima trovata propagandistica del governo Meloni, senza fondamento giuridico”. Dura anche Laura Boldrini, che parla di “ennesimo passo falso in materia di migrazioni”, e chiede lo stop immediato ai trasferimenti. Secondo Elly Schlein, si tratta di una “vittoria della legalità”.

Il centrodestra, invece, mantiene un profilo cauto. Il Viminale non commenta ufficialmente, ma fonti interne fanno sapere che “il Protocollo è conforme alle norme internazionali” e che si attenderà la pronuncia della Corte di Giustizia con “rispetto e fiducia”. La premier Giorgia Meloni, che aveva definito il piano “storico” e lo aveva difeso pubblicamente più volte, per ora sceglie il silenzio. Ma il colpo, in piena campagna elettorale per le europee, è pesante.

Una sfida giuridica che va oltre l’Italia


I dubbi sollevati dalla Cassazione non riguardano solo la specificità del caso italiano, ma toccano una questione cruciale per tutta l’Unione Europea: fin dove si può spingere uno Stato membro nell’esternalizzazione della gestione migratoria? La linea tra collaborazione internazionale e elusione delle norme comunitarie è sottile. Ed è per questo che la Corte Ue è chiamata a pronunciarsi non solo sulla legittimità del piano Italia-Albania, ma su un principio che potrebbe diventare prassi anche in altri Paesi.

La sentenza di Lussemburgo potrebbe avere effetti dirompenti. Se confermerà i dubbi della Cassazione, il Protocollo sarà nei fatti inapplicabile. Se invece lo legittimerà, aprirà la strada a nuove forme di outsourcing delle procedure di asilo. Per ora, però, il sistema albanese è di fatto congelato: nessun migrante è stato ancora trasferito, i centri sono vuoti, e l’Italia resta a guardare.

Un modello fragile, in attesa di giudizio

Il piano con l’Albania era stato presentato dal governo come un modello replicabile e innovativo, un modo per sottrarre i migranti irregolari alla gestione ordinaria e alleggerire la pressione sull’Italia. Ma l’architettura normativa si sta dimostrando fragile. Le norme europee prevedono tutele precise per i richiedenti asilo, e qualsiasi tentativo di aggirarle rischia di essere bocciato in sede giudiziaria. Anche perché, come ricorda la Cassazione, “le garanzie previste dal diritto dell’Unione non possono essere limitate da accordi bilaterali”.

Il futuro del Protocollo ora è nelle mani della Corte Ue. La sua pronuncia non arriverà prima di alcuni mesi, ma intanto il messaggio lanciato dagli ermellini è chiaro: i diritti fondamentali non si delegano, neanche oltre Adriatico. E il principio di legalità non può essere sacrificato alla propaganda.

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