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L’America tossica / Trump contro Musk, veleno e vendette

- di: Bruno Legni
 
L’America tossica / Trump contro Musk, veleno e vendette
Contratti cancellati, accuse su Epstein, minacce incrociate e il progetto di un partito personale: la faida tra il presidente e il tycoon tech diventa una bomba sistemica.
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Il sorriso è durato un giorno. Ora Washington è un’arena da gladiatori
Solo una settimana fa sembravano alleati. Elon Musk, con il suo sorriso da copertina patinata, sedeva nello Studio Ovale mentre Donald Trump lo definiva “una persona straordinaria, un genio del nostro tempo”. Era l’ennesima scenetta perfetta da social — tutta luci, inquadrature strette e parole piene d’aria. Oggi sembra un’inquadratura di apertura di un film sulla caduta dell’Impero. Perché quello che si è scatenato tra il presidente degli Stati Uniti e l’uomo più potente della Silicon Valley non è solo uno scontro personale: è un cortocircuito sistemico, una guerra d’élite combattuta a colpi di tweet, dossier, fondi federali e accuse che chiamano in causa il fantasma più tossico d’America: Jeffrey Epstein.
La maschera è caduta. E sotto c’è un’America che non ha più freni, dove la Casa Bianca diventa un’arma di distruzione personale.
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Musk spara il siluro: “Trump è nei file Epstein”
L’attacco che ha fatto saltare il banco è arrivato quando Musk — con la consueta leggerezza da miliardario impunito — ha sganciato una bomba su X:
“Donald Trump è nei file di Epstein. È per questo che non li pubblicano. Segnatevi questo post.”
Un’accusa senza prove, certo. Ma in un Paese dove il sospetto è più potente della legge, bastano dodici parole per ribaltare l’agenda politica. Il riferimento ai file finora secretati sull’indagine Epstein — oltre 2.000 pagine, molti nomi, pochi pubblici — ha fatto deflagrare la polemica. Le testate di mezzo mondo si sono fiondate sulla notizia, mentre il Congresso discuteva (non per caso) proprio in quelle ore la desecretazione completa degli atti.
Il tempismo non è sembrato casuale a nessuno. E a molti è apparso come un avvertimento: se mi colpite, io vi porto a fondo. Musk non si è fermato lì. Ha rilanciato anche un post in cui si chiedeva l’impeachment di Trump. La sua risposta, secca: “Sì”.
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La vendetta del presidente: “Via tutti i soldi pubblici a Musk”
Trump non è uomo da incassare in silenzio. Poche ore dopo, ha risposto dal suo social, Truth:
“Il modo più semplice per risparmiare miliardi? Tagliare ogni contratto e sussidio per Elon Musk.”
E così è stato. Il Dipartimento dei Trasporti ha bloccato un contratto da 2,7 miliardi per l’espansione della rete Supercharger di Tesla. Altri tre contratti — tra cui un’assegnazione NASA per le capsule Dragon e un’operazione del Pentagono su Starlink — sono stati messi “in revisione straordinaria”. Leggasi: fine certa.
Il messaggio è chiarissimo: attacchi il presidente, il presidente distrugge il tuo impero.
Wall Street ha tremato. Tesla ha perso il 14% in un giorno. Anche Trump Media ha pagato dazio: -7,2% in chiusura. “Siamo davanti a una faida di potere senza precedenti — ha detto David Li, analista di Morgan Stanley — che sta bruciando miliardi e fiducia pubblica a velocità record.”
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Washington non è più un governo: è un clan
Quello che sta succedendo è molto più grave di una semplice rissa tra ego ipertrofici. È lo specchio di un crollo sistemico: una Casa Bianca che agisce come un clan vendicativo, un presidente che usa i poteri federali per punire i nemici personali, e una classe dirigente che assiste in silenzio — o applaude, a seconda dello schieramento.
In meno di una settimana:
un privato cittadino è stato colpito economicamente dallo Stato per le sue opinioni politiche;
accuse pesantissime (pedofilia, insabbiamento, ricatti) sono state lanciate pubblicamente senza neppure un’indagine d’ufficio;
lo Stato federale è apparso come braccio armato di un uomo solo, anziché garante delle regole.
Il premio Nobel Paul Krugman, sul New York Times, è stato brutale:
“Questa non è più una democrazia. È un’arena da reality show dove chi perde viene sbranato in diretta.”
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L’altra bomba: Musk vuole un partito tutto suo
Ma Musk non ha intenzione di fare la vittima. Anzi, ha rilanciato con una mossa che potrebbe riscrivere gli equilibri politici americani: la proposta di un nuovo partito. Ha lanciato un sondaggio su X:
“Serve una nuova forza per l’80% degli americani stanchi della palude corrotta di Washington?”
Oltre 12 milioni di voti in 24 ore. Il 68% ha detto sì. Secondo fonti interne, Musk starebbe lavorando a una piattaforma chiamata “Centrum” — un polo tecnologico, libertario e populista, sostenuto da investitori come Peter Thiel e corteggiato da figure ibride come Mark Cuban o Glenn Greenwald. Non una lista civica, ma un partito-macchina costruito sull’infrastruttura di X, sugli algoritmi di Starlink, e sul culto di Musk come simbolo di rottura.
Non è detto che funzioni. Ma se dovesse partire, potrebbe erodere milioni di voti ai Repubblicani e trasformare la corsa 2028 in un tripolarismo esplosivo.
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Veleno, potere e il declino della repubblica
Quello che ci resta sotto gli occhi non è più solo lo scontro Musk-Trump. È la cartina di tornasole di un sistema che ha perso ogni senso del limite. Dove i tweet pesano più delle leggi. Dove i dossier segreti vengono usati come arma, e i fondi pubblici come manganello. Dove il confine tra affari personali e istituzioni non esiste più.
L’America è diventata una repubblica tossica.
“Non è la bomba nucleare che deve preoccuparci — ha detto il senatore indipendente Angus King — ma la bomba morale che stiamo facendo esplodere davanti al mondo intero.”
In un Paese normale, l’accusa “Trump è nei file Epstein” porterebbe a un’indagine. Qui, porta a un taglio dei fondi. Il problema non è più chi ha ragione. Il problema è che nessuno è più credibile.
E mentre il mondo osserva, la democrazia americana continua a corrodersi. Dal centro. Con il sorriso beffardo dei suoi protagonisti.

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