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Gaza, Netanyahu ha sulla coscienza 275 giornalisti uccisi finora

- di: Vittorio Massi
 
Gaza, Netanyahu ha sulla coscienza 275 giornalisti uccisi finora
Gaza, 275 giornalisti uccisi: numeri, responsabilità e cosa fare
Dopo l’attacco all’ospedale la conta sale: le fonti divergono, ma il tributo della stampa è senza precedenti. Dati, nomi, responsabilità.

la notizia dei cinque giornalisti uccisi nell’attacco all’ospedale è stata già data. la ricordiamo e allarghiamo lo sguardo: il punto è il bilancio complessivo.

Il fatto che aggiorna la tragedia

Oggi 25 agosto 2025 due colpi hanno investito il complesso di Nasser, a Khan Yunis: tra i morti anche reporter e tecnici che stavano lavorando o soccorrendo i colleghi colpiti dal primo missile. Tra le vittime identificate figurano Hussam al‑Masri (Reuters), Mariam Abu Daqqa (freelance per AP), Mohammed Salama (Al Jazeera) e Moaz Abu Taha; diverse testate e fonti locali indicano anche Ahmed Abu Aziz. L’Idf ha ammesso un attacco nell’area, negando l’intenzione di colpire giornalisti e annunciando un’inchiesta.

Perché oggi parliamo di 275

Due settimane fa Al Jazeera ha pubblicato un elenco di “quasi 270” giornalisti e operatori dei media uccisi a Gaza dall’ottobre 2023. Se a quel conteggio si sommano i professionisti rimasti uccisi a Nasser, la stima sale attorno a 274–275. Lo diciamo chiaramente: è una inferenza basata su dati pubblici e sugli aggiornamenti del 25 agosto.

I numeri non coincidono, ma la sostanza è una

Le organizzazioni internazionali offrono quadri diversi, perché diversi sono i criteri: chi include anche i “media workers”, chi considera solo i casi “nel corso del lavoro”, chi conteggia solo i decessi confermati con nome e circostanza. Ecco la forchetta aggiornata:

CPJ: almeno 192 giornalisti e operatori uccisi nell’area del conflitto fino al 18 agosto; decine di casi ancora in verifica.

Nazioni Unite: 242 giornalisti palestinesi uccisi da Israele fino all’11 agosto.

RSF: “oltre 200” uccisi, di cui almeno 56 verosimilmente a causa del loro lavoro; nuovo appello urgente al Consiglio di Sicurezza dopo le stragi di agosto.

Al Jazeera / Shireen.ps: “quasi 270” all’11 agosto; con Nasser si arriva a circa 275.

La divergenza sta nei metodi, non nel verdetto: questa è la guerra più letale per la stampa da quando esistono serie storiche credibili. Lo conferma anche il progetto “Costs of War” della Brown University.

Precedenti storici spazzati via

Il centro di ricerca della Brown scrive che in un solo conflitto sono stati uccisi più giornalisti che in interi cicli bellici del Novecento; e ricorda che nel 2024, nel mondo, “un giornalista è stato ucciso ogni tre giorni”. Sono dati che travolgono qualsiasi paragone con Vietnam, Corea o Afghanistan.

“I giornalisti sono civili”: il diritto umanitario non è un’opinione

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ribadisce un principio non negoziabile: “Le leggi di guerra sono chiare: i giornalisti sono civili”; colpirli deliberatamente è un crimine di guerra.

UNESCO ha definito “inaccettabili” gli omicidi mirati di reporter nelle ultime settimane, richiamando la Risoluzione Onu 2222 sulla protezione dei giornalisti: “La libertà di stampa non è un lusso in guerra, è una necessità”.

Cosa dice Israele, cosa rispondono le redazioni

Dopo Nasser, l’esercito israeliano ha affermato di “non prendere di mira i giornalisti in quanto tali” e di aver avviato verifiche interne.

Le testate colpite non concordano: Reuters ha espresso “devastazione” per la morte del suo cameraman e ha chiesto assistenza medica urgente per un fotografo ferito; Al Jazeera parla di attacchi “mirati” e chiede responsabilità.

Il bavaglio strutturale: accesso negato e redazioni rase al suolo

Non è solo il numero dei morti. La pressione sulla stampa è sistemica: media straniere tenute fuori dalla Striscia, connessioni e corrente interrotte, sedi distrutte. Secondo il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, già a metà 2024 erano decine (circa 70) le strutture dell’informazione parzialmente o totalmente devastate; RSF accusa una “metodica” demolizione dell’infrastruttura mediatica.

Intanto 27 Paesi, riuniti nella Media Freedom Coalition, hanno chiesto l’immediato accesso dei giornalisti internazionali a Gaza.

Arresti e detenzioni: il costo anche fuori dal fronte

Alla conta dei morti si sommano gli arresti: CPJ documenta 90 casi dall’ottobre 2023 ad oggi nell’area Israele–Palestina, con 35 giornalisti ancora sotto arresto; RSF già a inizio 2024 contava 31 reporter palestinesi in carceri israeliane.

Metodo e responsabilità: come leggere i conteggi

Parlare di “275” non è un esercizio di aritmetica cinica, ma il tentativo di misurare l’impatto reale:

  • alcune liste includono tecnici, fixer, autisti e fotografi freelance; altre no;
  • c’è chi registra solo i casi confermati “durante il lavoro”, escludendo chi muore fuori servizio o con famiglia;
  • molte verifiche sono ostacolate da blackout e divieti di accesso, per cui l’inerzia del dato tende sempre a sottostimare.

Per questo diamo un valore conservativo: almeno 275 dopo l’attacco a Nasser, confermando comunque che persino i conteggi più bassi parlano della stagione più mortale di sempre per la stampa.

Cosa resta da fare, subito

Tre urgenze senza alibi:

  • Accesso internazionale – aprire Gaza ai reporter, embedded o no, con garanzie di sicurezza effettive.
  • Indagini indipendenti – portare i casi con sospetto targeting in sedi terze, non lasciarli a inchieste interne.
  • Protezione sul campo – corridoi umanitari che includano la stampa; equipaggiamento, connettività, assistenza psicologica e legale, come sollecitato da UNESCO.

Memoria dei nomi, non solo delle cifre

Le liste pubblicate nelle scorse settimane – con biografie, foto, storie – sono lo sforzo minimo per restituire volti a un numero che cresce di giorno in giorno. È giusto ribadirlo oggi: se la comunità internazionale non ferma l’emorragia e non garantisce accesso, il racconto stesso della guerra – per israeliani e palestinesi – rischia di spegnersi con i suoi narratori. 

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