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Banca d'Italia: "La violenza sulle donne può essere anche economica"

- di: Barbara Leone
 
Banca d'Italia: 'La violenza sulle donne può essere anche economica'
Imparare a riconoscere la violenza economica è importante per non essere vittima inconsapevole, per non delegare o firmare senza aver compreso che si tratta, magari, di finanziamento o garanzie, per non lasciare che qualcun altro controlli le tue finanze. la cultura finanziaria può aiutare a prevenire situazioni di difficoltà e a reagire se si è state vittima di violenza. Il percorso di educazione finanziaria “Le donne contano” realizzato dalla Banca d'Italia per conto del Comitato nazionale per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria ed in collaborazione con Soroptimist International, è pensato proprio per le donne.

Banca d'Italia: "La violenza sulle donne può essere anche economica"

E di questo s’è parlato questa mattina nel quotidiano della Tgr Buongiorno Regione domani in onda su Raitre. Sono passati più di dieci anni da quando è stata scritta la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e ancora oggi la violenza sulle donne viene associata principalmente alla violenza fisica, molto meno alla violenza economica. Nonostante quest'ultima sia presente nella definizione data all'art. 3, si tratta di un fenomeno non facilmente riconoscibile. Molte donne si ritrovano così a subire il controllo delle risorse economiche da parte del partner fino al raggiungimento della totale dipendenza economica o addirittura forme di raggiro economico.

Perché controllare il portafoglio è un modo per controllare l'autonomia della persona e non sempre è un gesto d'amore. Basti pensare che ogni trimestre l'Istat fornisce dati sul numero di pubblica utilità 1522, un servizio promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (gratuito e attivo 24 h su 24) per le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. Nel 2021 delle oltre 16.000 vittime che hanno chiamato il 44% ha indicato come violenza principale quella fisica, il 33% quella psicologica e solo l'1% quella economica. Se si considerano anche altre forme di violenza oltre a quella principale, nello stesso anno l'abuso di carattere economico ricorre nel 15 per cento dei casi. Altro enorme problema: il mondo del lavoro in Italia parla al maschile. Prima ancora che da un punto di vista salariale, dove esistono forti differenze, è il tasso di attività (il rapporto tra la forza lavoro e la popolazione) a certificare una bassa partecipazione al mercato del lavoro: solo una donna su due ha un contratto, quando nel resto d'Europa a lavorare sono sette donne su dieci. Questa mancata partecipazione si traduce in maggiore dipendenza nei confronti del compagno, creando quegli squilibri pericolosi all'interno della coppia sui quali si può innestare una qualche forma di violenza economica. Il fatto che sia giustificato con una tradizionale divisione di ruoli, non rende la questione meno problematica, anzi.

Ne è prova che più è alto il titolo di studio della donna, più è attiva nel mondo del lavoro: lo studio ha il potere di emancipare e allontanare dalla dipendenza anche in contesti più difficili per il mondo del lavoro come il Sud d'Italia. Nonostante ci siano in Italia vecchie norme e principi nel diritto civile che pongono ostacoli a una piena capacità delle donne di denunciare i propri partner, una importante novità è emersa nel corso dell'anno, con una sentenza della Corte di Cassazione che potrebbe aprire a scenari più positivi. Con la sentenza n. 19847 del 22 aprile 2022 la Corte ha definitivamente equiparato la violenza economica alla violenza fisica nell'ambito di applicazione del reato di violenza domestica (l'articolo 572 del codice penale), facendo così venire meno tutte le difficoltà dei giudici a usare questa norma in assenza di maltrattamenti fisici. Alla fine del 2020, alla luce degli effetti devastanti della pandemia sulle donne più vulnerabili, veniva istituito il reddito di libertà che prevede l'erogazione di 400 euro al mese, per la durata di un anno, per quelle donne vittime di violenza che autocertifichino di aver iniziato un percorso di emancipazione presso un centro antiviolenza riconosciuto dallo Stato.

Questo reddito si aggiunge al reddito di cittadinanza. Il primo stanziamento, si è esaurito presto. Lo scorso giugno con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sono stati individuati nuovi fondi che saranno in grado di coprire le domande che erano rimaste inevase, e dovrebbero garantire l'erogazione a tutte le domande che arriveranno entro la fine dell'anno. Ancora una goccia nel mare, rispetto alla platea di donne che potrebbero fare richiesta, ma un segnale importante, per tutte coloro che stanno intraprendendo un percorso di emancipazione dalla violenza del proprio partner.

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