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Il blackout di Cannes, un attacco al cinema e a chi lo fa vivere ogni giorno

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il blackout di Cannes, un attacco al cinema e a chi lo fa vivere ogni giorno

Il blackout che ha colpito Cannes e Nizza, lasciando senza elettricità 160 mila abitazioni e paralizzando per ore la Costa Azzurra, non è stato solo un gesto simbolico contro un sistema o una rete elettrica. È stato un colpo inferto a un intero mondo che lavora ogni giorno, spesso dietro le quinte, per costruire cultura, lavoro, economia. Spegnere la luce su Cannes durante il Festival del Cinema significa oscurare non soltanto un evento, ma le vite e le storie di migliaia di professionisti: tecnici, autori, registi, elettricisti, montatori, hostess, lavoratori stagionali, piccoli imprenditori del turismo, ristoratori, albergatori. È a loro che è stato tolto qualcosa, non a un’astratta “élite dello spettacolo”.

Il blackout di Cannes, un attacco al cinema e a chi lo fa vivere ogni giorno

È facile ridurre il Festival di Cannes a una sfilata di celebrità e abiti firmati. Ma dietro ogni proiezione, ogni evento, ogni immagine c’è un sistema che dà da vivere a migliaia di famiglie. Ogni edizione del festival rappresenta un momento di grande respiro per il cinema d’autore, un’occasione unica per produttori indipendenti, distribuzioni minori, giovani registi che trovano nella visibilità internazionale una possibilità concreta di esistere nel mercato. Colpire Cannes significa mettere in discussione anche questa possibilità. È una forma di cancellazione culturale mascherata da gesto politico.

Attaccare l’energia per oscurare le idee

Chi ha rivendicato l’azione parla di lotta contro le “installazioni elettriche della Costa Azzurra”, ma non si combatte un modello economico lasciando al buio migliaia di persone. L’energia non è un privilegio, è ciò che consente a un’intera società di funzionare, comunicare, esprimersi. Il blackout ha avuto l’effetto di spezzare il flusso vitale di una delle più importanti manifestazioni culturali del mondo. Non è stata un’azione simbolica, ma un danno concreto a un sistema che, con tutte le sue contraddizioni, produce cultura, bellezza, identità. E anche lavoro.

Chi resta al buio non è solo lo spettacolo

Spegnere Cannes significa spegnere anche i piccoli commercianti che hanno investito nella stagione, i freelance dell’audiovisivo che aspettano il festival per proporsi, le sale indipendenti che trovano lì i film da programmare. Significa colpire chi crede ancora che il cinema possa avere un valore pubblico, civile, universale. In un mondo dove tutto è precario, il cinema resta uno degli ultimi spazi in cui si produce immaginario collettivo, senso, visione. Difendere il festival significa difendere anche questa idea di comunità culturale, che vive non solo nelle sale ma anche nelle reti invisibili di professionisti che ogni giorno la rendono possibile.

Un gesto che divide, non che libera

L’azione anarchica ha scelto di colpire un simbolo, ma ha sbagliato bersaglio. Perché non è nell’oscuramento della cultura che si produce liberazione, ma nella costruzione di alternative. E la cultura – anche quella fatta di festival internazionali – è uno dei pochi strumenti reali di confronto, di espressione, di dialogo. Il blackout non ha fatto luce sulle contraddizioni del sistema: le ha solo nascoste sotto il silenzio della paura e della paralisi. Il cinema, invece, è da sempre una forma di resistenza, di racconto, di opposizione non violenta. Difenderlo significa anche difendere chi, ogni giorno, prova a immaginare un mondo diverso.

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