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Via operativo al Bonus bebè, ma è l’ennesima misura tampone

- di: Marta Giannoni
 
Via operativo al Bonus bebè, ma è l’ennesima misura tampone
La risposta del governo al crollo delle nascite è un assegno da 1.000 euro a figlio. Ma le famiglie chiedono altro: asili, congedi, stabilità. Così si resta fermi alla cultura del tampone.
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Una misura tampone per una crisi strutturale
Con una circolare diffusa ieri l’INPS ha ufficializzato l’avvio del cosiddetto Bonus nuovi nati: un contributo una tantum da 1.000 euro per ogni figlio nato, adottato o in affido preadottivo dal 1° gennaio 2025. I beneficiari devono avere un ISEE minorenni inferiore a 40.000 euro. La domanda andrà presentata entro 60 giorni dall’evento, attraverso i consueti canali (Spid, CIE, CNS, contact center o patronati).
Il bonus non concorre alla formazione del reddito imponibile e sarà finanziato con 330 milioni di euro per il 2025, una cifra che salirà a 360 milioni annui dal 2026. Il contributo potrà essere richiesto da uno solo dei genitori, con priorità a chi convive con il bambino.
Un aiuto, certo. Ma del tutto simbolico rispetto alla portata della crisi in atto.
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Il grande bluff del bonus
L’Italia ha toccato nel 2024 il minimo storico di nascite: meno di 379.000 nuovi nati, secondo l’Istat, con un tasso di fertilità fermo a 1,22 figli per donna. È il più basso d’Europa, dopo la Spagna. In questo scenario, 1.000 euro per figlio suonano più come una mancia che come una politica pubblica.
“Il bonus non modifica le scelte di vita delle famiglie”, spiega Letizia Mencarini, professoressa di Demografia alla Bocconi. “Serve un ecosistema di supporto stabile, non misure spot. Senza asili nido, congedi ben retribuiti e lavoro sicuro, nessuna coppia fa un figlio per un bonus”.
Anche Gianpiero Dalla Zuanna, demografo e senatore, ha definito i bonus "utili come un cerotto su una frattura scomposta”.
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La trappola dell’effetto annuncio
Il bonus figli si inserisce in una lunga lista di “politiche-premio” italiane: il bonus mamma domani, quello per i seggiolini, quello per la tata, quello cultura, quello vacanze. Una tradizione bipartisan che ha prodotto una valanga di interventi parziali, quasi mai strutturali, spesso con fondi insufficienti, affidati alla rapidità della domanda e non al bisogno reale.
L’INPS ha già chiarito che il nuovo bonus sarà assegnato in base all’ordine cronologico delle richieste, “nei limiti delle risorse stanziate”. Tradotto: una corsa all’oro digitale, dove chi è più rapido vince. In assenza di servizi universali, si finisce per alimentare disuguaglianze di accesso. Chi ha più strumenti o più informazioni (o il supporto di un patronato), arriva prima.
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Cosa fanno gli altri paesi (e cosa non fa l’Italia)
Mentre l’Italia rincorre l’emergenza con misure di corto respiro, molti paesi europei adottano politiche familiari strutturate. In Francia, ad esempio, la rete pubblica di asili nido copre oltre il 60% del fabbisogno, il congedo di maternità è di 16 settimane retribuite al 100% e i papà hanno diritto a 28 giorni, anch’essi retribuiti.
In Germania, il “Kindergeld” (assegno per figli) è mensile, non una tantum, e i genitori possono usufruire di 14 mesi complessivi di congedo parentale con un’indennità pari al 65% dello stipendio.
L’Italia, invece, ha un sistema di welfare ancora fondato sul lavoro di cura non retribuito delle madri, con un tasso di occupazione femminile tra i più bassi dell’Unione: 55,7% contro il 74,6% medio europeo. Questo rende ogni nuova nascita un ostacolo economico e professionale.
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Le proposte che restano nel cassetto
Da anni si parla di riforma del welfare familiare. Il Forum delle Associazioni Familiari ha proposto un “fattore famiglia” che rimoduli le tasse in base al numero di figli. Alcuni economisti come Giampaolo Galli (Centro Einaudi) chiedono una “decontribuzione permanente per i genitori con figli minori”. Ma tutto resta bloccato dalla solita logica emergenziale, che punta all’impatto mediatico e non alla coerenza di sistema.
Anche il Piano Nazionale Asili Nido del PNRR, che prometteva 264.000 nuovi posti entro il 2026, è in ritardo. Secondo un report della Corte dei Conti pubblicato a marzo, solo il 19% dei cantieri è partito. Il rischio è di perdere la quota europea di cofinanziamento.
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Serve coraggio, non carità
Il bonus bebè non è inutile. Ma è largamente insufficiente. È un palliativo in un contesto che richiede una cura sistemica. Le famiglie italiane non chiedono elemosine: chiedono sicurezza, servizi, futuro.
Continuare con questa politica dei bonus significa accettare che la denatalità sia un destino. Invece, è una scelta. E si può cambiare. Ma servono investimenti reali, visione politica, e soprattutto un’idea chiara di Paese.
Perché un figlio non è un costo da tamponare, è un progetto da costruire. Insieme.

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