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La campana delle otto: a Sanremo il suono che giudica, la memoria che ritorna

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La campana delle otto: a Sanremo il suono che giudica, la memoria che ritorna

A Sanremo i rumori, di solito, sono leggeri: canzoni che scivolano fuori dall’Ariston, passi distratti sul lungomare, voci basse nei bar d’inverno. Ora c’è un suono nuovo. Regolare. Ostinato. Pedagogico. È una campana che ogni sera alle otto si fa sentire con puntualità inflessibile. Non annuncia una messa, non accompagna un lutto, non convoca i fedeli. Annuncia un’idea.

La campana delle otto: a Sanremo il suono che giudica, la memoria che ritorna

Si chiama “Campana dei bimbi non nati” ed è stata voluta dal vescovo Antonio Suetta, collocata nella torretta di Villa Giovanna d’Arco, sede della diocesi. Nelle intenzioni ufficiali dovrebbe essere un richiamo alla coscienza, alla preghiera, alla misericordia. Parole grandi, solenni, astratte. Ma i simboli, come le campane, non sono mai innocenti: vibrano, risuonano, arrivano dove non erano stati invitati.

Quando un simbolo entra nella vita degli altri
Una campana non chiede il permesso. Suona e basta. E quando lo fa ogni giorno, alla stessa ora, nello spazio condiviso di una città, smette di appartenere solo a chi l’ha voluta. Diventa un fatto pubblico. Politico, anche se nessuno ama chiamarlo così. Perché quel rintocco parla di aborto senza nominarlo, lo evoca senza spiegarlo, lo giudica senza ascoltarlo.
Il problema non è la fede. Il problema è l’effetto. Quel suono cade sulle tavole della cena, entra dalle finestre, interrompe pensieri e silenzi. Cade anche sulla vita di chi quella scelta l’ha vissuta come una necessità dolorosa, non come una bandiera ideologica. E a quelle donne — perché sono soprattutto donne — non chiede nulla. Chiede solo di ricordare. Di portare ancora addosso un peso.

La legge 194 e ciò che c’era prima
C’è una rimozione comoda, in questa vicenda: la storia. Prima della legge 194, prima del referendum che la confermò, l’aborto in Italia non era un tema simbolico, ma una tragedia concreta. C’erano le mammane, le cucine trasformate in sale operatorie improvvisate, le infezioni, le emorragie. C’erano donne che morivano, donne che restavano segnate per sempre, donne che non avevano scelta perché non avevano diritti.
La 194 non nacque per leggerezza morale, ma per ridurre una strage silenziosa, per portare alla luce ciò che avveniva nell’ombra. Fu una legge di realtà, non di ideologia. E il referendum non fu un incidente: fu una presa di parola collettiva, una decisione democratica che disse che la clandestinità non era più accettabile, che il corpo delle donne non poteva restare terreno di punizione.

La protesta: parole contro il bronzo
Il centrosinistra locale ha reagito. A farlo con parole nette è stato Edoardo Verda, consigliere comunale del Partito Democratico di Imperia. Quella campana, ha detto, non parla di cura né di ascolto, ma di colpa. Trasforma il dolore in simbolo, e il simbolo in accusa.
È una frase che resta addosso. Perché qui non si discute se la vita sia un valore — lo è — ma se sia legittimo usare il dolore come monito pubblico, senza mai ricordare da dove veniamo e perché una legge come la 194 esiste.

Misericordia o pedagogia morale
La Chiesa rivendica il diritto di testimoniare i propri valori. Nessuno lo mette in discussione. Ma quando la testimonianza diventa rituale quotidiano, quando occupa lo spazio pubblico e il tempo comune, il confine con il giudizio si assottiglia. La misericordia, per definizione, dovrebbe accogliere. Qui, invece, sembra educare. Indicare una direzione. Correggere coscienze.
Il rintocco delle otto non distingue tra chi crede e chi no, tra chi ha scelto e chi ha subito, tra chi ha avuto alternative e chi non ne aveva. È uguale per tutti. Ed è proprio questa uguaglianza forzata a renderlo problematico.

Una campana che non consola
C’è chi la sente come un invito alla preghiera. C’è chi la ignora. C’è chi abbassa lo sguardo. Ma c’è anche chi, ascoltandola, ricorda un ospedale, una firma, una stanza fredda, una paura antica. E allora viene da chiedersi se un simbolo che pretende di difendere la vita possa farlo dimenticando la vita vissuta, quella reale, imperfetta, dolorosa.
Sanremo continuerà a vivere, a cantare, a fare rumore. La campana continuerà a suonare. Ma insieme al bronzo che vibra torna una domanda che non si spegne: senza memoria delle mammane, delle morti evitate, del referendum, che senso ha parlare di misericordia?

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