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Cannabis light, arriva il giro di vite: vietata la vendita delle infiorescenze

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Cannabis light, arriva il giro di vite: vietata la vendita delle infiorescenze

Con la conversione definitiva in legge del decreto Sicurezza, il governo Meloni imprime una decisa accelerazione sul fronte della lotta alla cannabis light. L’articolo 18 del provvedimento, approvato il 4 giugno in Senato, introduce un divieto a tutto campo: niente più produzione, commercializzazione, distribuzione o semplice detenzione delle infiorescenze di canapa, anche in forma essiccata, triturata o semilavorata.

Cannabis light, arriva il giro di vite: vietata la vendita delle infiorescenze

Una norma che, nei fatti, cancella un intero segmento di mercato legalmente fiorito negli ultimi anni – spesso al confine tra agricoltura, erboristeria e commercio – e che adesso si ritrova fuori legge. Il nuovo corso, fortemente voluto da una parte della maggioranza e sostenuto dal Viminale, punta a chiudere ogni spiraglio normativo residuo, equiparando la cannabis light a sostanze stupefacenti vere e proprie.

Sanzioni penali per chi trasgredisce: si applica il Testo Unico
Chi continuerà a vendere o detenere infiorescenze rischia grosso. Il decreto richiama esplicitamente le sanzioni previste dal Testo Unico sugli stupefacenti: reclusione da sei mesi a sei anni e multe che possono arrivare fino a 77mila euro. Per i casi considerati di lieve entità è prevista una riduzione della pena, ma la linea è chiara: tolleranza zero.

Non solo: il provvedimento, che ha suscitato reazioni infuocate da parte di associazioni di categoria e attivisti, mira a colpire anche la fase di trasporto, la lavorazione e l’estrazione di oli e resine. Un cambio di passo che spiazza chi, fino a ieri, operava in un contesto legalmente ambiguo ma di fatto tollerato.

Proteste e allarme nel settore: “Colpiti 15mila lavoratori”
Il colpo è durissimo. Le organizzazioni di settore parlano di circa 15mila posti di lavoro a rischio, tra coltivatori, rivenditori e operatori della trasformazione. Alcuni imprenditori annunciano ricorsi, altri si appellano alla Corte Costituzionale. Ma intanto i negozi sono già in fibrillazione: molti hanno iniziato a svuotare gli scaffali, altri temono controlli e sequestri.

“La politica ha preferito la scorciatoia repressiva – denunciano le associazioni – invece di regolamentare seriamente il comparto”. Una polemica che attraversa anche le opposizioni, con il PD e il M5S che accusano il governo di colpire un settore che, se inquadrato, avrebbe potuto generare occupazione e gettito.

Resta ammesso l’uso industriale della pianta
Non tutto, però, viene vietato. Il decreto fa salve le destinazioni d’uso industriale della canapa: restano consentiti la produzione di tessuti, carta, materiale da costruzione e alimenti a base di semi. Ma è una concessione parziale. Il cuore del mercato – quello fondato sulle infiorescenze a basso THC vendute nei negozi specializzati – viene smantellato.

Un segnale politico forte e controverso
Per l’esecutivo si tratta di una misura coerente con la linea della sicurezza e della “tolleranza zero” verso ogni sostanza percepita come veicolo di rischio sociale. Ma la stretta apre un fronte politico sensibile. Non solo per le proteste degli operatori del settore, ma anche perché segna un’inversione di tendenza rispetto alla linea più morbida tenuta in passato da alcune istituzioni locali e sentenze della magistratura.

Nel frattempo, gli operatori della filiera della cannabis light si preparano alla chiusura, chiedendo al governo risposte su investimenti, contratti e attività ormai in bilico. Un comparto nato nel vuoto normativo, cresciuto in fretta e crollato in un decreto. Ora tocca capire se questa mossa sarà l’inizio di un nuovo corso repressivo o solo l’ennesima parentesi ideologica in un Paese che continua a non voler affrontare la questione cannabis in modo strutturale.

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