“Falcone ci ha insegnato che la mafia, come ogni fatto umano, ha avuto un inizio e avrà anche una fine”. Nella giornata di ieri, a trentatré anni dalla strage di Capaci, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rilanciato l’appello a non abbassare la guardia contro le mafie. Un richiamo solenne, pronunciato nel giorno in cui Palermo ha ricordato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta – Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo – assassinati da una carica di tritolo piazzata lungo l’autostrada A29. Accanto a loro, quel 23 maggio 1992, si salvò solo l’autista Giuseppe Costanza, protetto dalla struttura dell’auto blindata.
Capaci, 33 anni dopo: Mattarella apre il Museo del Presente e sprona il Paese alla vigilanza
A Palermo, la giornata è stata scandita da decine di iniziative: scuole in corteo, magistrati, istituzioni, semplici cittadini. E soprattutto l’inaugurazione del nuovo “Museo del Presente Falcone e Borsellino”, spazio multimediale voluto per trasformare la memoria in azione, e il ricordo in impegno quotidiano. Un luogo in cui la storia non viene solo celebrata, ma interrogata. L’apertura del museo coincide con una stagione in cui la mafia ha cambiato pelle, meno visibile ma ancora presente, in forme più sofisticate, meno esplosive ma altrettanto pericolose.
Il messaggio di Mattarella alle nuove generazioni
Il Presidente della Repubblica ha invitato a “coinvolgere le nuove generazioni nella responsabilità di costruire un futuro libero da costrizioni criminali”, indicando nella memoria attiva un pilastro della democrazia. Il discorso è stato letto nelle scuole, nei tribunali, nelle aule consiliari di tutta Italia. “Tenere alta la vigilanza”, ha detto ancora Mattarella, “è un dovere che non può essere delegato. La mafia si combatte tutti i giorni, con le leggi, con la cultura, con la trasparenza”.
Il giorno che cambiò l’Italia
Quel pomeriggio del 1992 cambiò il volto del Paese. Le immagini dell’autostrada sventrata, della Fiat Croma distrutta, delle ambulanze arrivate troppo tardi, rimasero impresse nelle menti e nei cuori. Per molti fu l’inizio di una nuova consapevolezza. Ma anche l’amara conferma di quanto fosse profondo l’intreccio tra potere, silenzi e criminalità organizzata. Giovanni Falcone era già stato isolato, attaccato, accusato di protagonismo. Aveva lasciato Palermo per il ministero della Giustizia, dove stava costruendo una rete legislativa per rendere più efficace la lotta alle mafie.
Dalla commemorazione all’azione quotidiana
Le parole di Mattarella richiamano a una memoria che non deve diventare rituale. Ricordare Capaci è anche misurarsi con i ritardi di oggi: territori ancora sotto controllo criminale, imprese piegate all’usura, istituzioni che a volte scelgono di voltarsi altrove. È in questa distanza tra celebrazione e pratica che si gioca la credibilità dello Stato. E nel museo appena aperto, le immagini di Falcone e Borsellino non chiedono solo applausi. Chiedono scelte.