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Caso Paragon, giornalisti e attivisti spiati: la procura accelera sugli accertamenti tecnici irripetibili

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Caso Paragon, giornalisti e attivisti spiati: la procura accelera sugli accertamenti tecnici irripetibili
La procura di Roma ha deciso di imprimere una svolta nell'inchiesta Paragon, l’indagine che ruota attorno a un sospetto caso di spionaggio ai danni di giornalisti e attivisti. Con un decreto notificato nelle ultime ore, i magistrati capitolini hanno disposto l’esecuzione di accertamenti tecnici irripetibili su sette cellulari appartenenti alle persone che si configurano come parti lese nel fascicolo. Tra queste spiccano quattro nomi noti della redazione di Dagospia – incluso quello del fondatore Roberto D’Agostino – e tre esponenti della ong Mediterranea Saving Humans, tra cui Luca Casarini, figura di riferimento nei salvataggi in mare e già protagonista di numerosi scontri politici e mediatici.

Caso Paragon, giornalisti e attivisti spiati: la procura accelera sugli accertamenti tecnici irripetibili

Gli accertamenti disposti dalla procura hanno carattere irripetibile proprio perché le operazioni tecniche in programma – probabilmente estrazioni forensi complete, verifiche di malware, mappature di intrusioni – produrranno effetti non ripetibili su quei dispositivi. Secondo le fonti giudiziarie, l’obiettivo è identificare eventuali accessi abusivi, installazioni di software di sorveglianza o vulnerabilità sfruttate per tracciare movimenti, messaggi, email e telefonate. Al momento, l'indagine è contro ignoti e non si configura ancora alcuna contestazione formale, ma i reati ipotizzati sono gravi: si parla infatti di violazione della privacy, intercettazioni illecite, accesso abusivo a sistemi informatici e possibili condotte organizzate in forma sistemica.

Il profilo dell’inchiesta e i soggetti coinvolti

L'indagine prende il nome dalla società Paragon, una realtà di cybersicurezza israeliana che in passato è finita nel mirino delle cronache per presunte attività al confine tra consulenza e sorveglianza invasiva. Secondo alcune indiscrezioni, il software “Pegasus” o strumenti affini potrebbero essere stati utilizzati – o comunque presi in esame – per tentare di entrare nei dispositivi delle vittime. Nessuna conferma ufficiale è arrivata in tal senso, ma l’allerta delle autorità è massima, in particolare per il possibile utilizzo di strumenti militari in ambito civile. Le ipotesi più accreditate al momento ipotizzano un utilizzo privato e non istituzionale delle tecnologie intrusive, forse legato a dossieraggi o interessi economici e politici.

Un caso che tocca il cuore della libertà di informazione

La presenza tra le parti lese di più giornalisti di Dagospia solleva il livello di allarme nel mondo dell’informazione. Il sito diretto da D’Agostino è noto per la sua attività di controinformazione e per la pubblicazione di documenti e notizie scomode. Il sospetto che qualcuno possa aver tentato di entrare nei dispositivi di giornalisti per carpire fonti, materiali riservati o movimenti, rappresenta una minaccia diretta al principio del segreto professionale e alla tutela delle fonti, pilastri fondamentali del giornalismo libero. Non meno inquietante è il coinvolgimento degli attivisti della ong Mediterranea, i cui telefoni potrebbero essere stati usati per mappare spostamenti e strategie nei soccorsi in mare.

Le reazioni del mondo politico e della società civile

A pochi giorni dall’avvio degli accertamenti, si sono già levate le prime reazioni. Diverse associazioni di giornalisti e difensori dei diritti civili hanno chiesto che l’inchiesta venga portata avanti con la massima trasparenza, ma anche con rigore e indipendenza. “Se verrà accertato che qualcuno ha tentato di mettere sotto controllo dispositivi di cronisti o attivisti umanitari, ci troveremmo di fronte a un fatto di gravità estrema”, ha dichiarato un rappresentante della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Da parte loro, i diretti interessati mantengono il riserbo, ma è probabile che nei prossimi giorni, con l'avanzare delle perizie, emergano nuovi elementi capaci di far luce sulla rete che ha cercato di spiare e monitorare chi documenta e denuncia, spesso a rischio della propria incolumità.
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