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Centri per migranti in Albania: licenziamenti di massa e un progetto che scricchiola

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Centri per migranti in Albania: licenziamenti di massa e un progetto che scricchiola

Il progetto che avrebbe dovuto rappresentare il fiore all’occhiello della politica migratoria del governo Meloni si trova ora ad affrontare il suo primo grande scoglio. I centri per migranti in Albania, istituiti con l’intento di alleggerire la pressione sulle strutture italiane, sono pressoché vuoti. E con loro si svuotano anche gli organici delle cooperative incaricate della gestione: quasi tutti i dipendenti sono stati licenziati.

Centri per migranti in Albania: licenziamenti di massa e un progetto che scricchiola

A rivelarlo è stato il quotidiano Domani, che ha ricostruito una vicenda che si inserisce nel quadro più ampio della gestione dei flussi migratori e delle relazioni diplomatiche tra Roma e Tirana. Secondo il quotidiano, attualmente nei centri di Shengjin e Gjader rimangono solo alcuni medici, gli addetti alle pulizie e le forze dell’ordine. Per il resto, lo smantellamento del personale è pressoché totale.

La decisione arriva dopo settimane di incertezza, in cui la cooperativa Medihospes, incaricata della gestione, ha dovuto fare i conti con una realtà ben diversa da quella immaginata dal governo. Il personale, assunto in previsione dell’arrivo dei primi migranti trasferiti dall’Italia, si è trovato di fatto senza nulla da fare. Le strutture, infatti, non sono ancora entrate in piena operatività e al momento ospitano un numero di persone vicino allo zero.

Uno stallo tra burocrazia e scelte politiche
La cooperativa ha motivato il licenziamento con "una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie" e con la "momentanea impossibilità di accogliere nuovi flussi di migranti". L'accordo tra Italia e Albania, firmato in pompa magna dal premier Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama, prevedeva il trasferimento di alcune migliaia di migranti in strutture extra-territoriali, gestite con fondi italiani. Tuttavia, le procedure di attivazione sembrano essersi impantanate, tra difficoltà organizzative e un quadro giuridico che ancora presenta incertezze.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha provato a gettare acqua sul fuoco, assicurando che il progetto proseguirà. “Non è in discussione – ha dichiarato – e non c’è nessun ripensamento da parte del governo”. Ma il dato di fatto è che, a distanza di mesi dall’accordo, le strutture non funzionano come previsto e il personale assunto per farle funzionare è stato mandato a casa.

Intanto, i lavoratori licenziati denunciano una gestione disastrosa. Alcuni hanno raccontato di aver ricevuto la lettera di licenziamento senza preavviso, altri hanno spiegato di essere stati assunti per un progetto che, nei fatti, non è mai decollato.

Le reazioni politiche: accuse di flop e spreco di denaro pubblico
L’opposizione è partita all’attacco, vedendo nei licenziamenti un segnale del fallimento dell’intero piano. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha parlato di “un’operazione mal congegnata”, sottolineando che gli 800 milioni di euro stanziati avrebbero potuto essere usati in maniera più efficace. “Soldi buttati, mentre in Italia mancano medici e infermieri negli ospedali”, ha dichiarato.

Sulla stessa linea il Movimento 5 Stelle, che con Giuseppe Conte ha attaccato l’esecutivo: “Meloni ha costruito un castello di carta sul tema dei migranti, ma la realtà è che i centri sono vuoti e i lavoratori sono stati licenziati. Il suo governo non è in grado di gestire nemmeno i progetti che presenta come innovativi”.

Anche da parte sindacale si levano critiche. La CGIL ha definito il licenziamento in blocco “l’ennesima dimostrazione dell’approssimazione con cui è stato gestito il piano”, mentre l’USB ha annunciato possibili azioni legali per tutelare i lavoratori rimasti senza impiego.

Un progetto che rischia di implodere?

Al di là delle polemiche, il punto cruciale resta la sostenibilità del piano. La scelta di esternalizzare la gestione dei migranti all’Albania era stata presentata dal governo come una svolta epocale, un modello che avrebbe potuto essere replicato su scala europea. Ma la realtà dei fatti mostra una situazione in stallo, con strutture che faticano ad entrare in funzione, ostacoli legali ancora irrisolti e personale già licenziato prima ancora che il sistema fosse rodato.

Se il governo non troverà una soluzione a breve, il rischio concreto è che i centri per migranti in Albania diventino il simbolo di una politica inefficace, con milioni di euro di fondi pubblici spesi senza alcun risultato tangibile. Nel frattempo, mentre i migranti continuano ad arrivare in Italia e gli hotspot siciliani restano sovraffollati, gli unici ad aver pagato il prezzo dell’operazione, almeno per ora, sono stati i lavoratori mandati a casa.

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