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Il caso Chiara Poggi: la famiglia accusa una campagna diffamatoria e respinge ogni insinuazione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il caso Chiara Poggi: la famiglia accusa una campagna diffamatoria e respinge ogni insinuazione
A quasi vent’anni dall’omicidio di Chiara Poggi, la sua famiglia rompe il silenzio e denuncia con forza quella che definisce una “assillante campagna diffamatoria” condotta da media e social network. In una nota affidata ai propri legali, i familiari della giovane assassinata a Garlasco nel 2007 affermano di essere oggetto da settimane di un attacco sistematico all’onorabilità e alla memoria della figlia. Un’accusa che pesa come una pietra nel clima già avvelenato di attenzione morbosa che periodicamente torna a riaccendersi su uno dei casi di cronaca nera più controversi d’Italia.

Il caso Chiara Poggi: la famiglia accusa una campagna diffamatoria e respinge ogni insinuazione

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, secondo i familiari, sarebbe l’ultima puntata della trasmissione televisiva Le Iene, che avrebbe “adombrato una presunta relazione sentimentale di Chiara con un uomo adulto”, facendo riferimento a dichiarazioni ormai datate e rilasciate da una persona oggi deceduta. I legali parlano senza mezzi termini di affermazioni “del tutto false” e ricordano che quelle stesse dichiarazioni furono già smentite dagli inquirenti all’epoca dei fatti. La famiglia sottolinea che si tratta di illazioni che non hanno alcun fondamento probatorio e che anzi rischiano di alimentare ancora una volta un’attenzione morbosa sul passato privato della vittima.

Il dolore della famiglia, mai sopito

Le parole affidate alla nota legale restituiscono l’immagine di una famiglia ancora devastata dal dolore e stanca di vedere il nome di Chiara strumentalizzato. “Non sta purtroppo risparmiando nemmeno la amata Chiara”, si legge, con un tono che unisce amarezza e impotenza. Per i Poggi, il problema non è solo la sofferenza personale, ma anche la violenza simbolica che si perpetua ogni volta che si insinua il dubbio, si rilancia un sospetto, si cerca un nuovo filone narrativo dove la realtà è già stata accertata nei tribunali. Il riferimento è implicito ma chiaro: la sentenza definitiva che ha condannato Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara, per omicidio.

Una memoria contesa e deformata

Il caso Poggi è diventato negli anni un terreno fertile per ricostruzioni, podcast, documentari e servizi televisivi che oscillano tra l’inchiesta giornalistica e il racconto spettacolarizzato. La figura della vittima è stata più volte piegata a narrazioni ambigue, tra suggestioni romanzesche e dietrologie forzate. I familiari denunciano questo fenomeno come una nuova forma di violenza, non più fisica ma simbolica, che impedisce loro di elaborare un lutto mai realmente chiuso. “Chiara non è un personaggio di fiction”, sembra essere il messaggio sottinteso della loro difesa. È una persona reale, con una vita spezzata tragicamente, e con dei genitori che da quasi due decenni portano il peso della sua assenza.

Un appello al rispetto della verità giudiziaria


La nota degli avvocati pone anche una questione di metodo: l’autorevolezza delle sentenze e il rispetto per l’iter giudiziario. I legali ricordano che le prove a carico di Alberto Stasi furono valutate dalla Corte d’assise, dalla Corte d’appello e dalla Corte di Cassazione, che hanno confermato la responsabilità penale dell’imputato. Riaprire il dibattito pubblico su piste già scartate, insinuare ombre e relazioni mai dimostrate, significa mettere in discussione l’intero sistema della giustizia. Un’operazione che, secondo i legali, non ha alcuna utilità se non quella di attrarre audience e visibilità, a scapito della dignità delle persone coinvolte.

Il ruolo dei media e la responsabilità civile

Il caso solleva ancora una volta il tema del ruolo dei media nel trattamento dei casi giudiziari chiusi. La libertà di stampa, pur essendo un pilastro irrinunciabile della democrazia, non può prescindere da un’etica della responsabilità, soprattutto quando si toccano vite già duramente colpite. La famiglia Poggi chiede rispetto e si riserva di valutare azioni legali nei confronti di chi continuerà a diffondere notizie ritenute false o lesive della memoria della figlia. Non è solo una questione di verità, ma anche di giustizia umana. In fondo, ogni parola ha un peso. E ogni insinuazione, in casi come questo, rischia di diventare un colpo inferto a una ferita che non ha mai smesso di sanguinare.
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