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Giuseppe Conte, il “Minosse” del campo largo

- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore
 
Giuseppe Conte, il “Minosse” del campo largo
Conte, arbitro feroce del centrosinistra

Da giudice morale a padrone del campo largo: il leader 5 Stelle detta condizioni e Schlein si piega pur di sfidare Meloni.

Minosse era, nella mitologia greca, il re di Creta che Dante pone all'entrata dell'Inferno per udire la confessione dei dannati e assegnare loro la pena. Così Giuseppe Conte, da Volturara Appula, assurto al ruolo di Presidente del Consiglio per meriti sconosciuti e grazie alla pazzia di Beppe Grillo, poi fatto fuori dallo stesso come nelle migliori tradizioni della politica, si è autoproclamato giudice ultimo della moralità e, come tale, decide chi può essere candidato.

Sta succedendo nelle Marche, in Puglia e in Campania, grazie a quella grandissima (si fa per dire) stratega politica (si fa sempre per dire) che corrisponde al nome di Elly Schlein. Non contenta dello sfinimento procurato nelle file del Pd a tutti i livelli, la segretaria con tre passaporti è convinta che solo portando Conte e i suoi “desperados” nella grande coalizione del centrosinistra, a qualunque costo, potrà mandare a casa la Meloni.

Lei pensa, nella sua ingenuità, che Conte, una volta scalzata la “ducetta”, si farà bellamente da parte e, finalmente, anche lei potrà scalare Palazzo Chigi. Per fare che cosa non si sa, ma intanto si fa. Fatto sta che oggi qualsiasi proposta politica ed elettorale deve passare sotto le forche caudine messe in piedi dall’autoproclamatosi Avvocato del Popolo.

Il ritorno in scena dei 5 Stelle

È riuscita, l’erede di Berlinguer, a ridare smalto ai 5 Stelle, che erano precipitati – dopo la fallimentare esperienza di governo – nell’assoluta indifferenza e inanità politica. Con un colpo di mano, Giuseppe Conte si è impossessato del Movimento trasformandolo in un partito ad personam, estromettendo i grillini della prima ora e puntando decisamente a tornare agli splendori del passato dal balcone di Palazzo Chigi.

Col suo 10%, che inopinatamente gli elettori italiani ancora recatisi alle urne gli assegnano, oggi è nella classica posizione di chi può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra a seconda di come gli gira, sorretto da una pattuglia parlamentare che lo acclama come Kim Jong Un al congresso del Partito Comunista della Corea del Nord.

La retorica dei 5 Stelle

Sono un assiduo ascoltatore di Radio Radicale, che trasmette in diretta i dibattiti parlamentari e, credetemi, quando intervengono quelli dei 5 Stelle c’è da mettersi le mani nei capelli: quintali di retorica spicciola, richiami ai poveri e ai derelitti e, alla fine, un’ode al loro leader, quasi come quelli di Fratelli d’Italia, che iniziano e finiscono i loro interventi al nome di Giorgia Meloni e del bene che starebbe facendo a questo nostro scalcagnato Paese.

Schlein si piega all’arbitro pugliese

L’errore marchiano della segretaria del Pd è stato quello di dichiararsi disposta a tutto pur di ottenere il placet di Conte per il cosiddetto “campo largo”, l’unica alleanza potenzialmente in grado di sconfiggere il destra-centro meloniano, consegnandosi così mani e piedi al Minosse pugliese. Una mossa alquanto stupida per spuntare le migliori condizioni, buona solo – forse – per raggiungere un accordo qualunque, ma sempre al prezzo deciso da Conte.

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