Il significato profondo della contesa Russia-Ucraina (Seconda parte)

- di: Teodosio Orlando
 



Nel 1930, il grande filosofo spagnolo José Ortega y Gasset ebbe a scrivere: “Né il sangue né il linguaggio costituiscono lo Stato nazionale; anzi, è lo Stato nazionale che livella le differenze originarie dei globuli rossi e dei suoni articolati. È sempre avvenuto così. Rare volte, per non dire mai, lo Stato ha coinciso con una previa identità di sangue o d'idioma.” Il che vuol dire che una nazione è prima di tutto un fenomeno politico e non tanto geolinguistico o biologico. L’Ucraina ovviamente non fa eccezione.: Furono gli ucraini istruiti, che scrivevano nella loro lingua madre ucraina piuttosto che in russo, a gettare le basi culturali su cui rivendicare un'identità nazionale ucraina distintiva, che non fosse né accessoria né inferiore all'identità russa. In questa élite intellettuale figuravano scrittori, poeti, storici e folkloristi, tra cui Taras Shevchenko, Ivan Kotliarevsky e Mykola Kostomarov. 

Il primo embrione di governo autonomo ucraino nel Novecento sorse quando, subito dopo la Rivoluzione di Febbraio a Pietrogrado, a Kiev i menscevichi diedero vita (ed egemonizzarono) alla prima Rada (o Assemblea Nazionale) ucraina, che si limitò a chiedere solo l’autonomia e non la totale indipendenza da Mosca. Ma la pur fragile e precaria autonomia ucraina non impedì che il territorio, tra il 1917 e il 1922, diventasse l’epicentro di una guerra civile in parte politica e in parte etno-nazionale: si fronteggiarono infatti l’armata rossa di Lev Trockij (nativo, non dimentichiamolo, dell’Ucraina, della città di Janivka), le truppe bianche di Anton Denikin e le milizie anarchiche di Nestor Makhno.:. Mahnko riuscì addirittura a creare il cosiddetto  Territorio Libero, prima nazione anarchica della storia, ispirata a forme di anarco-comunismo agrario e poi liquidata definitivamente dall’Unione Sovietica. In effetti, invece di un singolo Stato ucraino unificato che emergesse dal caos della I guerra mondiale, furono fondati diversi aspiranti Stati ucraini, con sede in diverse regioni ucraine e alleati con diverse potenze straniere: ciascuno di questi Stati embrionali aveva una propria forza militare e una propria struttura amministrativa, una propria leadership e un proprio orientamento ideologico, e rappresentava o incorporava diverse forze sociali: sicché la guerra che ne scaturì fu in parte guerra civile, in parte guerra internazionale. E le vittime privilegiate furono le decine di migliaia di ebrei, a lungo una minoranza significativa, contro i quali si scatenarono terribili pogrom condotti da molte delle forze in guerra, una tragica eredità che non è stata e non dovrebbe mai essere dimenticata.

Nel dicembre 1922 si ha l’atto di nascita, per volontà di Lenin (come lo stesso Putin ha ambiguamente ricordato), della Repubblica Sovietica Ucraina che incorporò una buona parte del territorio e della popolazione ucraina, con una popolazione di circa 30 milioni di abitanti. Naturalmente i limiti della sua autonomia erano ben precisi: si parlava perfino di diritto di secessione dall’Urss, ma esso era una pura chimera. Peraltro, il governo di Mosca avocò a sé tre sfere di potere fondamentali: la difesa (affidata integralmente all’armata rossa); la politica estera e quella economica (oggi aggiungerei: le Repubbliche Sovietiche non ebbero mai neppure una squadra nazionale di calcio, a differenza, ad es., di Scozia e Galles, in teoria meno autonome all’interno del Regno Unito). Anche la difesa interna, per le grandi questioni era sotto il controllo della GPU, la polizia politica sovietica. I primi due premier ucraini furono anch’essi di obbedienza russa: Christian Rakovskij, un rivoluzionario rumeno che era sempre stato in stretto contatto con gli ambienti del socialismo russo, e Vlas Čubar, membro fin dal 1907 del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, che resse l’Ucraina fino al 1934 e nel 1936 fu giustiziato durante le “grandi purghe” di Stalin. 

Alla fine del Grande Terrore degli anni ‘30, Iosif Stalin (1878-1953) non manifestò nessuna tolleranza per le differenze nazionali nelle repubbliche sovietiche: nella sua ottica, il nazionalismo era una forza sovversiva manipolata da nemici stranieri. I suoi successori (come Chruščëv e  Brežnev, peraltro di origine ucraina) promossero a intermittenza l’ucrainizzazione culturale per guadagnarsi un certo consenso, ma più spesso percepivano la cultura ucraina, compresa la lingua, come minacce incipienti al loro potere, che si sarebbero tradotte nella richiesta di maggiore autonomia all'interno dell'URSS, o addirittura dell’indipendenza. Pertanto, dovevano essere schiacciate. Ma il più grande orrore che colpì l’Ucraina durante l'era comunista fu la massiccia carestia del 1932-1934, nota in ucraino come Holodomor (morte per fame). Essa fu il risultato della decisione di Stalin, nel 1929, di imporre l'agricoltura collettivizzata alla riluttante popolazione contadina, a cui veniva richiesto di  consegnare obbligatoriamente quote di grano assurdamente elevate. Con le campagne ucraine quasi completamente prive di cibo, i contadini ucraini lottarono disperatamente per sopravvivere, ma vennero accusati di sabotaggio economico e di nascondere il grano: per effetto dei raid della polizia politica sguinzagliata a perlustrare le campagne e a impedire la conservazione del grano, 4 milioni di ucraini morirono o furono deportati in Siberia.

Non a caso nel 2006 il Parlamento dell'Ucraina definì l’Holodomor un atto di genocidio sovietico, provocando così l’indignazione di Vladimir Putin: il suo governo ha preferito seppellire le dure verità piuttosto che imparare dalla tragedia storica. L’Holodomor ha lasciato una cicatrice indelebile nella coscienza nazionale ucraina, aggravata poi dal fatto che, nel periodo 1937-1941, più di un milione di ucraini vennero arrestati o uccisi nel Grande Terrore staliniano. L’Ucraina post-bellica venne ridisegnata dalle idee geopolitiche contorte di Stalin come repubblica sovietica, ma con i confini ampliati fino a incorporare territori in gran parte abitati dall’etnia ucraina e che appartenevano alla Polonia, alla Cecoslovacchia e alla Romania, nonostante una sporadica guerriglia nazionalista che durò fino all’inizio degli anni Cinquanta. Sorprendentemente, nel febbraio 1954, il nuovo leader sovietico Nikita S. Chruščëv trasferì la penisola di Crimea dalla Repubblica russa all'Ucraina, operazione che all’epoca avvenne comunque nell’ambito dell’Unione Sovietica, quasi come spostare una moneta da una tasca all’altra, come ha osservato lo storico statunitense Christopher M. Smith nel bel saggio Ukraine’s Revolt, Russia’s Revenge.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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