Il G7 riflette sul piano Usa per frenare l'invadenza cinese

- di: Diego Minuti
 
Quale sforzo di immaginazione si chiede quando, in un qualsiasi contesto e quale che sia l'unità di misura, ci si chiede di pensare a ''40 mila miliardi''. Uno sforzo che è quasi impossibile, a meno di essere dei matematici che sanno domare una materia che per molti è ostica da metabolizzare. Eppure, questo ''numeretto'', è da alcuni giorni al centro dell'attenzione dei Grandi della Terra, sia a quelli che hanno partecipato direttamente al summit in Cornovaglia, che anche ad altri che al vertice sono interessati, per le possibili implicazioni che potrebbero avere le decisioni prese dai ''7''.

Ma perché parliamo di ''40 mila miliardi''?
Perché è questo l'ammontare del piano che, nell'arco dei prossimi dieci-quindici anni, dovrebbe consentire al mondo Occidentale (con l'inclusione del Giappone) di porre un argine alla straripante quanto aggressiva politica estera della Cina che, con le sue ''vie della seta'', sta da tempo avviluppando le economie non solo di Paesi in via di sviluppo, ma anche, surrettiziamente, di quelli che hanno delle economie non deficitarie, ma hanno bisogno di essere sostenute economicamente nelle loro attività, nel campo delle infrastrutture, soprattutto, ma anche in altri settori, magari cedendo parti consistenti del loro debito sovrano.
Pechino, per troppo tempo, ha agito liberamente, senza che gli altri, con Washington in prima battuta, intuissero il quadro complessivo che sarebbe uscito fuori sommando i tanti micro-interventi territoriali sui quali la Cina ha messo, in bella grafia e secondo tradizione, la sua inequivocabile firma.
Oggi Joe Biden annuncia un piano - che si tradurrebbe essenzialmente in infrastrutture di cui dotare i Paesi meno sviluppati e, per questo, più esposti a cedere alla seduzione del Dragone - che dovrebbe consentire di fermare un'avanzata che è preoccupante, se è vero che, nonostante vada avanti da tempo, non è stata mai esattamente compresa se non quando è emersa in tutta la sua evidenza politica.

Ma bisognerebbe fare altre considerazioni, la prima delle quali è che non si possono approntare degli interventi efficaci per affrancare da Pechino i Paesi ormai entrati nell'orbita cinese per il semplice motivo che essi, strangolati economicamente, non possono farlo da soli. I cinesi non sono bulimici solo in termini di acquisizioni di attività economiche, perché esse sono soltanto il cavallo di Troia che utilizzano per impiantarsi in un Paese, rendendolo nella sostanza vassallo. Né il modello che propongono può essere interpretato come se avesse finalità solidali, dal momento che le ricadute economiche per i singoli territori sono spesso residuali rispetto alla vera posta in gioco.
Di esempi se ne potrebbero fare tanti. A cominciare da alcuni Paesi, certo non scelti a caso, ma per la loro collocazione geografica (tipo: ecco un buon posto dove entrare e impossessarsi di un porto per le nostre navi di transhipment), in cui la Cina è entrata con la nomea di prestatore d'aiuto e che, nel tempo, si è trasformata in ben altro. E se non sono porti, strade, ferrovie, sono opere con altro profilo. Come, ad esempio, la grande moschea di Algeri - un'opera sulla cui genesi ha forse avuto la meglio la politica sulla religione - realizzata dai cinesi, ma in tutti i sensi, dal momento che le maestranze sono arrivate dalla madrepatria, relegate in compound per massimizzarne il loro lavoro.

Ma il cuore della discussione tra i grande del summit in Cornovaglia non è tanto la consapevolezza del ''pericolo che arriva da Oriente'', quanto la presa di coscienza che ormai la Cina ha un tale profilo nell'economia mondiale che sarebbe ben difficile scalzarla dallo scenario, per il semplice motivo che tutti fanno affari con essa.
Gli Stati Uniti rischiano, quindi, di trovarsi non da soli, ma con la compagnia di qualcuno che preferisce stare un passo indietro, lasciando Washington a fare da ariete. Un ruolo che Joe Biden ha ereditato da Donald Trump e che, a differenza di altri cari argomenti al tycoon, anche lui continua a portare avanti. Come conferma la recente determinazione presidenziale che ha allungato la lista delle aziende cinesi con cui quelle americane non possono più fare affari. Una guerra che solo apparentemente è commerciale, di salvaguardia dei diritti umani (questione uigura) o per la sicurezza (di cui sta facendo le spese, lanciando ombre sui progetti di medio e lungo periodo, la potentissima Huawei), ma che è essenzialmente politica perché lo scudo con cui l'America pensava di essersi protetta sta subendo colpi anche in seno ai cosiddetti ''fedeli alleati''.

Come anche l'Italia che, parrebbe, sotto l'egida di Mario Draghi sembra prendere le distanze dalla politica filo-cinese che faceva troppo spesso capolino in alcune delle decisioni dei due precedenti governi. Una scelta, mai ufficiale, che in questi giorni ha avuto una sottolineatura con la visita di Beppe Grillo all'ambasciatore cinese e il fatto che Draghi fosse, nelle stesse ore, a discutere con Biden e gli altri, non può essere una semplice coincidenza. A meno di volere credere alle troppe favolette che, in questi anni, ci sono state propinate. Ma quando Draghi dice di comprendere gli argomenti portati sul tavolo da Washington non significa automaticamente che ne accetterà acriticamente le proposte. Perché ora è troppo tardi per non vedere che la Cina resta un interlocutore di cui è impossibile negare l'importanza. Soprattutto quando le tematiche ambientaliste spingono verso accordi globali e, quindi, anche con Pechino, che rappresenta un miliardo e quattrocento milioni di cittadini di questo mondo che, se sono compratori, nel mercato globale, sono anche produttori, non solo di beni, ma anche di elementi inquinanti. Tagliare oggi la Cina da un tavolo di confronto e discussione - di questo sono tutti consapevoli - non è possibile né conveniente. Cercare un punto di sintesi, che magari tenga dentro ambiente, commercio e rispetto dei diritti umani forse resta un sogno, ma non per questo deve essere accantonato.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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