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Il riscatto fragile di Irene Pivetti tra fede, fatica e attesa

- di: Bruno Coletta
 
Il riscatto fragile di Irene Pivetti tra fede, fatica e attesa
Irene Pivetti, riscatto fragile tra fede, fatica e attesa
L’intervista al Corriere della Sera. Tra carcere possibile e pacchi viveri: una vicenda sorprendente che svela il volto spesso dimenticato del declino pubblico. 

Un’esperienza che scuote: tra processi, umiltà e speranza

Irene Pivetti, storica più giovane presidente della Camera dei Deputati negli anni Novanta, oggi non sta vivendo la sua stagione migliore — e lo racconta con chiarezza dura in un’intervista al Corriere della Sera, il primo quotidiano italiano.

La condanna — maturata in primo grado nel settembre 2024 — a quattro anni per evasione fiscale e autoriciclaggio legati alla presunta falsa vendita di Ferrari alla Cina è solo l’inizio — segnata anche da sequestri patrimoniali e blocco di conti correnti.

E a questo si aggiunge il nuovo giudizio imminente sul presunto traffico illecito di mascherine durante l’emergenza Covid: accuse di frode in fornitura pubblica, riciclaggio, bancarotta fraudolenta e documentazione cartacea sospetta, una vicenda ancora in corso.

Dal benessere alla Caritas: il senso dello “svuotamento”

Pivetti racconta di una discesa reale, fatta anche di fame: “Non avevo i soldi per mangiare”, dice Pivetti, ammettendo di aver ritirato pacchi di viveri alla Caritas di San Vincenzo.

Nel periodo più difficile, vendette tutto quanto possibile, perfino regali di nozze, giusto per sopravvivere.

Poi la svolta: un lavoro umile ma vitale in una cooperativa di ex detenuti, Mac Servizi — prima da volontaria, poi con uno stipendio di mille euro al mese. “Quando l’ho ricevuto non potevo crederci… finalmente avevo i soldi per mangiare”, racconta Pivetti.

Una rinascita lenta, senza clamore, come emergere dalle macerie della propria identità. Un processo duro, certo, che però ha risvegliato sentimenti e legami autentici.

Eventualità del carcere: “Mi preparo”

Interrogata sul rischio detenzione, Pivetti ammette: “Sì, ci penso. Mi preparo. Non lascio che il pensiero mi divori, ma so che potrebbe accadere… grazie a Dio, sono riuscita a riprendere la mia vita”, afferma Pivetti.

La fede emerge come ancora: “Il Signore sa quello che fa, mi affido a lui”, aggiunge Pivetti.

Ancora, il processo che attende “potrebbe durare più della mia vita biologica”, osserva Pivetti. E allora la scelta: “Non posso aspettare… devo vivere oggi”, prosegue.

Vittima o sconfitta? “Sono la voce di chi non ha voce”

Pivetti rifiuta l’idea della pietà: “Non voglio destare pietà… io ho la possibilità di raccontare e dare voce a tanti che si trovano nella mia stessa situazione”, sottolinea Pivetti.

Sferza il sistema, che definisce “un tritacarne”, più pronto a distruggere che a cercare la verità.

Non c’è spazio per rancori verso chi l’ha abbandonata: “Non ho niente da rimproverare… la macchina giudiziaria fa troppa paura”, ammette Pivetti.

Bilancio lucido: dignità in frantumi, ma non persa

Condanna confermata (settembre 2024): quattro anni per evasione fiscale e autoriciclaggio, con sequestro di beni per milioni.

Nuovo processo in corso (agosto 2025): mascherine contestate per frode, riciclaggio, false certificazioni.

Momenti di indigenza reale: pacchi viveri, vendita di tutto, ricorso alla Caritas.

Rinascita nell’umiltà: lavoro nella cooperativa, mille euro al mese che hanno restituito dignità.

Fede e resilienza: “Mi preparo al carcere, ma continuo a vivere”, dice Pivetti.

Bandiera etica: voce di chi non ha voce, contro un sistema che spegne prima di ascoltare.

Un mix contraddittorio di fragilità e orgoglio

Irene Pivetti è un mix contraddittorio di fragilità e orgoglio. Vittima (possibile) di un apparato giudiziario feroce, ma anche figura resiliente che sceglie di restare visibile per altri sconfitti. Il racconto del suo presente è una riflessione potente sulla dignità strozzata, l’economia della reputazione e la forza di chi — anche cadendo — insiste nel dire: io esisto ancora.

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