Il regista indipendente trionfa con un film sorprendente e polemico. Ma il cuore della Mostra è La voce di Hind Rajab, ovazione record. L’Italia brilla con Servillo e Rosi, e si interroga sul senso del cinema. La giuria divisa, tra estetica e coscienza politica, fino all’ultimo voto.
(Foto: Jim Jarmusch, regista indipendente vincitore del Leone d’oro di Venezia 2025).
La Mostra del cinema di Venezia 2025 non sarà ricordata solo per la qualità dei film, ma per il suo carico politico ed emotivo. Il Leone d’oro, assegnato al nuovo lavoro di Jim Jarmusch Father Mother Sister Brother, ha colto di sorpresa chi dava già per vincitore La voce di Hind Rajab. L’americano dal passo felpato e dalla voce bassa, che da decenni incarna il volto del cinema indipendente, ha trasformato il premio in un gesto politico. Subito dopo la cerimonia, Jarmusch ha dichiarato: “Non voglio che il mio film sia distribuito in Israele”, denunciando i legami industriali e finanziari che a suo giudizio contaminano la filiera. L’uscita, arrivata a caldo, ha trasformato un trionfo in atto di accusa.
La poesia di Jarmusch e il suo grido “Enough”
Father Mother Sister Brother è un mosaico di storie intime, interpretate da un cast che mescola icone e sorprese: Tom Waits, Adam Driver, Cate Blanchett, Mayim Bialik. Un film fatto di sguardi, pause e legami fragili. Eppure, al di là della forma, Jarmusch ha voluto sottolineare il contenuto etico implicito. Sul palco, con una spilla pro-Gaza con la scritta “Enough”, ha spiegato che il cinema non deve diventare propaganda, ma che “alla base di ogni rapporto umano c’è la necessità di connessione ed empatia”, ha rimarcato Jarmusch.
Gaza scuote la Mostra
Il vero protagonista morale del festival resta però La voce di Hind Rajab, il film della tunisina Kaouther Ben Hania che ha strappato lacrime e applausi. La regista, già candidata all’Oscar per The Man Who Sold His Skin, ricostruisce gli ultimi istanti della bambina di Gaza intrappolata in un’auto il 29 gennaio 2024, mentre i corpi dei parenti giacevano accanto a lei. La sua voce, registrata dagli operatori della Mezzaluna Rossa, chiedeva aiuto disperato. Quel documento sonoro è diventato cinema, memoria e denuncia.
Il film ha ricevuto il Gran Premio della Giuria ed è stato accolto da un’ovazione lunghissima, uno dei momenti più intensi dell’edizione. Subito dopo la premiazione, la madre della bambina, Wissam Hamanda, ha affidato alla produzione un ricordo che trafigge: “Hind è la voce della verità, che il mondo vede ma non vuole ascoltare”, ha detto Hamanda, aggiungendo: “Spero che il mondo salvi gli altri bambini di Gaza, hanno diritto all’istruzione, a una vita dignitosa e sicura”.
Servillo, un presidente con la coscienza
L’Italia esce dalla Mostra con premi di grande peso. La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è andata a Toni Servillo per La grazia di Paolo Sorrentino. L’attore napoletano veste i panni di un Presidente della Repubblica che affronta dilemmi morali e politici a fine mandato. Nel discorso di ringraziamento, Servillo ha allargato il senso del premio oltre il cinema: “Lo dedico a Gaza, a nome di un sentimento che tutto il cinema italiano prova in questo momento”. E ha reso omaggio a chi partecipa alla cosiddetta Flotilla per la Palestina: “Sono portatori di umanità”, ha affermato Servillo.
Gianfranco Rosi e l’ombra del Vesuvio
Un altro italiano sul podio è Gianfranco Rosi, che ha vinto il Premio speciale della giuria con Sotto le nuvole. Un lavoro in bianco e nero che mescola documentario e poesia visiva, esplorando l’umanità che vive all’ombra del Vesuvio. “Ho voluto raccontare la geografia emotiva di Napoli, dove ogni volto diventa paesaggio”, è l’intento che emerge con forza dal film e che la giuria ha riconosciuto come valore politico ed estetico.
Gli altri premi e il braccio di ferro in giuria
Il Leone d’argento per la regia è andato a Benny Safdie per The Smashing Machine, con un sorprendente Dwayne “The Rock” Johnson nel ruolo di un campione di wrestling in declino. La miglior interpretazione femminile è stata assegnata alla cinese Xin Zhilei per The sun rises on us all. La sceneggiatura ha premiato la francese Valérie Donzelli per À pied d’œuvre, la storia di uno scrittore che precipita nella miseria.
Dietro le quinte, la giuria ha vissuto una spaccatura profonda. Lo stesso direttore della Mostra, Alberto Barbera, ha parlato di una “divisione inconciliabile tra chi voleva premiare il cinema come forma pura e chi chiedeva un riconoscimento a opere aperte al mondo e alla sua complessità”, ha detto Barbera. Un compromesso faticoso che ha dato vita a un palmarès diviso a metà tra estetica e coscienza politica.
La dimensione spirituale: l’appello del Patriarca
Il finale della cerimonia è stato segnato da un videomessaggio inatteso. Il Patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, ha lanciato un appello alla pace: “Abbiamo lasciato la narrativa ai radicali. Il compito della cultura è aprire nuovi orizzonti e immaginare linguaggi diversi”, ha affermato Pizzaballa, rivolgendosi a chi crea e fa cultura.
Un festival che riflette il mondo
Venezia 2025 verrà ricordata come l’edizione in cui il cinema non si è limitato a raccontare storie, ma ha scelto di farsi testimone. Jarmusch ha ricordato che ogni film porta con sé una responsabilità etica, mentre La voce di Hind Rajab ha trasformato la tragedia di una bambina in un atto universale di memoria. Il Lido, quest’anno, non ha solo assegnato premi: ha scosso coscienze, ricordando che l’arte, se vuole restare viva, deve farsi carico delle ferite del tempo in cui vive.