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Italia senza figli: la paura di diventare genitori ci sta travolgendo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Italia senza figli: la paura di diventare genitori ci sta travolgendo
Sempre più giovani rinunciano alla genitorialità. Non per egoismo, ma per mancanza di certezze. Il vero crollo non è demografico, è di fiducia nel futuro.
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Il cambiamento silenzioso che pesa sul futuro
Il cuore del problema non è solo nei numeri, ma nella loro evoluzione. La denatalità italiana non è più una questione statistica: è un cambiamento profondo del tessuto sociale. Secondo l’indagine FragilItalia, condotta da Area Studi Legacoop in collaborazione con Ipsos, aumentano sensibilmente i giovani che rinunciano a diventare genitori o si limitano all’idea di un solo figlio. In un solo anno, queste due scelte sono cresciute di nove punti percentuali. Un italiano su quattro, oggi, dichiara di non volere figli. È un segnale potente, che racconta non solo un cambio di priorità individuali, ma soprattutto una disillusione collettiva.
Tra gli under 35, una parte consistente desidera ancora avere due figli. Ma per molti resta un desiderio astratto, più simile a un’ipotesi irrealizzabile che a un progetto di vita. Le emozioni che accompagnano la genitorialità si stanno trasformando. Se la gioia resta l’emozione prevalente, con il 50% delle risposte, è in netto calo rispetto al passato. Crescono invece le sensazioni di preoccupazione e ansia, in modo particolare tra i più giovani e tra le fasce sociali più fragili. La maternità e la paternità, da traguardi aspirazionali, stanno diventando fardelli da cui difendersi.
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Un Paese che non aiuta a fare figli
Simone Gamberini, presidente di Legacoop, è netto: il problema non è che i giovani non vogliano figli. Il problema è che vivono in un Paese che non li mette nelle condizioni di averne. A frenare le scelte genitoriali non sono mutamenti culturali, ma ostacoli concreti: stipendi bassi, precarietà lavorativa, difficoltà ad avere una casa, mancanza di servizi pubblici per l’infanzia. È un sistema che chiede troppo e restituisce troppo poco, che costringe a scegliere tra lavoro e famiglia, tra stabilità e affetti.
La lista delle paure è lunga, ma parla sempre la stessa lingua: quella dell’insicurezza. Il 91% degli intervistati cita il costo della vita e gli stipendi inadeguati come motivi centrali per non fare figli. A seguire, l’instabilità lavorativa, l’assenza di servizi pubblici di supporto, la difficoltà nel conciliare tempi di lavoro e tempi familiari. Chi decide di non avere figli non lo fa per egoismo, ma perché non intravede un sistema che li protegga.
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Quando il genere pesa più della scelta
Il peso delle disuguaglianze di genere è un altro nodo strutturale. Otto donne su dieci temono che avere un figlio significhi dover rinunciare al lavoro. E in moltissimi casi questo timore si traduce in realtà. Le donne sanno che diventare madri può significare carriera interrotta, orari ridotti, porte chiuse. La maternità è vissuta come una scelta che impone rinunce, non come una dimensione da vivere con pienezza. E se questo accade in un Paese che invecchia e che fatica a garantire ricambio generazionale, allora non è solo una questione di diritti individuali, ma di tenuta collettiva.
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Un patto per il futuro che non può più attendere
Per Gamberini è il tempo di un patto economico e sociale che rimetta al centro il lavoro, la genitorialità, la parità. Le cooperative, dice, devono fare la loro parte nel promuovere modelli organizzativi più umani, capaci di conciliare vita e professione, senza costringere alla rinuncia. Ma servono anche scelte pubbliche coraggiose. La denatalità non si combatte solo con incentivi o bonus spot. Si combatte restituendo fiducia a chi oggi non vede un futuro possibile per sé, figuriamoci per i figli.
Non c’è demografia che tenga se manca la politica. Non ci sono famiglie possibili se la società resta ostile alla loro nascita. E non c’è futuro per un Paese che smette di credere nella possibilità di generare vita. La denatalità non è più una curva da correggere: è un segnale d’allarme a cui servono risposte strutturali, urgenti e condivise.

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