Le donne vivono più a lungo degli uomini e sopravvivono più spesso al cancro. Ma questo dato, che a prima vista sembra positivo, nasconde un paradosso: vivono più a lungo, sì, ma con più malattie croniche, più effetti collaterali e meno attenzione clinica mirata. È quanto emerge da un’indagine di AIRC, che fotografa il rapporto tra genere e oncologia con una prospettiva di lungo periodo. Le statistiche dicono che il 60% delle donne colpite da un tumore sopravvive oltre i cinque anni, contro il 54% degli uomini. Ma questo vantaggio biologico rischia di essere vanificato da un sistema di cura ancora poco attento alle specificità femminili, sia nella ricerca scientifica che nella pratica clinica quotidiana.
Il vantaggio al femminile contro il cancro: perché le donne vivono di più, ma non sempre meglio
Il motivo principale della maggiore resistenza femminile al cancro va cercato in una combinazione di fattori biologici, tra cui il ruolo protettivo degli estrogeni, il sistema immunitario più attivo e un patrimonio genetico che tende ad attivare risposte più efficaci contro cellule anomale. Le donne si ammalano di meno di certi tumori e, quando si ammalano, spesso lo fanno in modo meno aggressivo. Ma non si tratta di una regola universale: alcune patologie colpiscono proprio il genere femminile in modo più insidioso, come il tumore al seno triplo negativo o i tumori ginecologici. Eppure, per decenni, la ricerca oncologica si è concentrata quasi esclusivamente su modelli maschili, trascurando le specificità biologiche femminili.
Una medicina ancora troppo neutra per essere equa
Il problema non è solo nella biologia, ma anche nell’approccio della medicina moderna. I protocolli terapeutici sono spesso tarati su uomini adulti, con peso e metabolismo standardizzati. Gli studi clinici, per molto tempo, hanno escluso o sottorappresentato le donne, considerate soggetti troppo “variabili” per la sperimentazione. Solo negli ultimi anni si è affermata una consapevolezza più marcata sull’importanza della medicina di genere. Ma il ritardo accumulato è profondo: mancano ancora linee guida specifiche, dati disaggregati, e strumenti di diagnosi precoce tarati sulle caratteristiche fisiologiche delle pazienti. Il rischio è che la sopravvivenza più alta si accompagni a un calo nella qualità della vita e a una sottovalutazione del dolore femminile.
Più attenzione alla prevenzione, ma meno ascolto clinico
Le donne, in genere, aderiscono con maggiore frequenza ai programmi di screening e mostrano una maggiore propensione alla prevenzione. Ma, paradossalmente, spesso faticano a essere credute quando riferiscono sintomi. Numerosi studi dimostrano che il dolore cronico femminile viene sottovalutato rispetto a quello maschile, e che molte pazienti ricevono diagnosi più tardive anche a causa di bias inconsci nei medici curanti. Inoltre, dopo la malattia, le donne affrontano un carico psicologico e sociale spesso maggiore: devono conciliare cure e lavoro, gestire il ruolo familiare, affrontare la stigmatizzazione estetica legata agli effetti collaterali delle terapie. Il vissuto oncologico femminile è più complesso e necessita di un approccio realmente multidisciplinare.
Verso una ricerca più giusta, con più scienziate in prima linea
AIRC sottolinea quanto sia fondamentale una maggiore presenza femminile anche nella ricerca: non solo come oggetto di studio, ma come soggetto attivo. Le donne scienziate sono ancora in minoranza nei ruoli apicali della ricerca biomedica, anche se sempre più presenti tra le giovani ricercatrici. Investire sulla parità di accesso alla carriera scientifica è una delle chiavi per garantire uno sguardo più ampio e sensibile alle differenze di genere nei percorsi terapeutici. Una medicina che si dichiari “neutra” non è automaticamente equa. Solo una medicina consapevolmente attenta al corpo e alla voce delle donne potrà davvero essere inclusiva e precisa.
Una battaglia culturale e clinica da vincere insieme
La lotta al cancro è anche una questione di linguaggio, di cultura, di ascolto. Accorciare la distanza tra medicina e vissuto femminile significa ripensare protocolli, formazione medica, modelli di assistenza. Il vantaggio biologico delle donne non può essere dato per scontato né lasciato al caso. Deve essere accompagnato da politiche sanitarie adeguate, da una ricerca più responsabile e da una rete di cura capace di accogliere la complessità di ogni paziente. Perché vivere più a lungo non basta. Bisogna poter vivere meglio, e con dignità.