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Draghi scuote l’Europa: senza AI sarà stagnazione

- di: Jole Rosati
 
Draghi scuote l’Europa: senza AI sarà stagnazione
Draghi: senza intelligenza artificiale l’Europa va in stagnazione
Dal Politecnico di Milano l’ex premier lancia un ultimatum: colmare il divario con Usa e Cina, usare l’intelligenza artificiale per crescita, lavoro, sanità e giovani.

Mario Draghi è tornato a parlare di Europa e futuro, e lo ha fatto dal luogo più simbolico per l’innovazione italiana: il Politecnico di Milano. Davanti alla platea dell’inaugurazione dell’anno accademico, l’ex presidente della Bce e del Consiglio ha scelto toni netti: senza una adozione massiccia dell’intelligenza artificiale, l’Unione rischia un “futuro di stagnazione”, con crescita piatta, debito più pesante e un ruolo sempre più marginale nello scacchiere globale.

Dietro l’allarme non c’è solo un discorso accademico. C’è la continuità con il Draghi Report sulla competitività europea e con gli appelli delle Confindustrie europee, che evocano apertamente il rischio di declino industriale. L’IA diventa così il punto di incrocio tra politica industriale, welfare, demografia e geopolitica.

L’avvertimento di Draghi: o si accelera o si resta indietro

Parlando agli studenti e ai docenti del Politecnico, Draghi ha messo in fila numeri e scenari che non lasciano spazio all’ottimismo di maniera. Se l’Europa continuerà a crescere con il ritmo di produttività dell’ultimo decennio, fra 25 anni il prodotto potrebbe essere sostanzialmente fermo, mentre i bisogni sociali – pensioni, sanità, difesa, transizione verde – continueranno ad aumentare.

“Un’economia che non cresce mentre gli interessi sul debito continuano a maturare è destinata a trovarsi davanti a scelte sempre più dolorose”, ha avvertito l’ex premier, indicando il rischio di dover scegliere tra stato sociale, sicurezza e investimenti sul futuro.

La chiave per evitare questo scenario è, per Draghi, una sola: adottare le tecnologie legate all’intelligenza artificiale su larga scala, non come esperimento marginale ma come ossatura della nuova economia europea.

Il divario con Usa e Cina: pochi modelli, poca scala

Il cuore del problema è il gap tecnologico. Nell’ultimo anno, ricorda Draghi, gli Stati Uniti hanno sviluppato decine di grandi modelli di intelligenza artificiale, la Cina una quindicina, mentre l’Unione Europea si ferma a pochi progetti. Un divario che si riflette non solo nella ricerca di frontiera ma anche nelle piattaforme industriali, nel cloud, nei chip, nei supercomputer.

In altre parole, l’Europa rischia di diventare un utilizzatore dipendente di tecnologie create altrove, pagandole di più, controllandole di meno e rinunciando a una parte importante del valore aggiunto. È lo stesso nodo che Draghi aveva già indicato nel suo rapporto sulla competitività, dove il superamento dell’arretratezza digitale è tra le priorità assolute.

Da qui l’insistenza sull’idea che il momento attuale sia un “momento di verità per l’Europa”: per anni il continente ha guardato alla rivoluzione digitale con prudenza, trasformando spesso il principio di precauzione in una barriera all’innovazione. Con l’intelligenza artificiale, questo schema non è più sostenibile.

AI come motore di crescita: fino a un punto di Pil in più

Draghi non si limita agli allarmi. L’ex premier insiste anche sul potenziale positivo dell’IA. Se l’Europa riuscisse a replicare, con l’intelligenza artificiale, il percorso di adozione che hanno avuto in passato informatica e digitale, si potrebbe ottenere un incremento di crescita annua vicino allo 0,8% solo grazie al salto di produttività. Se poi la traiettoria fosse simile a quella dell’elettrificazione negli anni Venti del Novecento, l’impatto sulla crescita potrebbe superare l’1% di Pil aggiuntivo ogni anno.

Per un continente che da anni fatica a superare l’1% di crescita reale, questa sarebbe, sottolinea Draghi, “l’accelerazione più significativa degli ultimi decenni”. Ma il punto, ancora una volta, è la scala: non bastano progetti pilota, servono investimenti pubblici, incentivi privati, infrastrutture digitali condivise e regole che favoriscano la diffusione delle tecnologie.

Regole, rischi e incertezze: l’Europa prigioniera della sua prudenza

Uno dei passaggi più duri del discorso riguarda il modo in cui l’Europa regola l’innovazione. Draghi riconosce che lasciare che le nuove tecnologie si diffondano senza controllo – come accaduto con i social media – non è un’opzione responsabile. Ma insiste sul fatto che bloccare il potenziale positivo prima che possa emergere sia altrettanto sbagliato.

“Una politica efficace in condizioni di incertezza richiede adattabilità”, ha spiegato, invitando a rivedere rapidamente regole e ipotesi man mano che emergono nuove evidenze su rischi e benefici. Invece, aggiunge, l’Europa ha spesso trattato valutazioni iniziali e provvisorie come dottrina intoccabile, inserendole in leggi quasi immutabili.

Il riferimento implicito è anche all’AI Act, il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, che molte imprese giudicano importante ma potenzialmente troppo rigido e complesso. Da qui la richiesta di un quadro che permetta di aggiornare le regole con maggiore rapidità, senza rinunciare alla tutela dei diritti fondamentali.

Lavoro: perché la disoccupazione di massa non è destino

Una delle paure più diffuse quando si parla di intelligenza artificiale è quella della disoccupazione di massa. Draghi l’ha affrontata di petto. Guardando alle grandi rivoluzioni tecnologiche del passato – elettricità, motore a scoppio, informatica – il verdetto della storia, sostiene, è chiaro: le nuove tecnologie hanno ristrutturato il lavoro, ma non lo hanno cancellato.

“La storia economica non ci dice che la disoccupazione di massa sia l’esito più probabile”, ha argomentato. Nel tempo sono nate nuove professioni, nuovi settori, nuovi bisogni. La transizione, però, è sempre stata diseguale e dolorosa: alcuni lavoratori, regioni e mansioni hanno pagato prezzi altissimi, mentre altri hanno raccolto la maggior parte dei benefici.

Per l’IA, Draghi vede uno scenario simile: rischio reale di sostituzione di molti lavori, di aumento delle disuguaglianze e di abusi sulla privacy, frodi, manipolazione. Ma sottolinea che la velocità e la portata di questa sostituzione non dipendono solo dalla tecnologia, bensì anche dalle politiche pubbliche.

La differenza tra un’Europa che usa l’IA per creare occupazione migliore e un’Europa che la subisce come fattore di esclusione si gioca su formazione, ammortizzatori sociali, politiche attive, incentivi alle imprese che investono in riqualificazione.

Sanità e scuola: dove l’AI può ridurre le disuguaglianze

Per mostrare il lato più concreto dell’innovazione, Draghi richiama esempi già in corso, soprattutto nella sanità e nell’istruzione. In pronto soccorso e ospedali, sistemi di triage basati su IA sono in grado di ridurre drasticamente i tempi d’attesa, riorganizzando i flussi in base alla gravità reale dei pazienti e non solo all’ordine di arrivo.

Lo stesso discorso vale per la scuola. Oggi una parte essenziale dei risultati educativi dipende dal caso: l’incontro con l’insegnante giusto, il riconoscimento tempestivo di un talento, la guida verso il percorso formativo più adatto. La tecnologia può ridurre questa componente di fortuna, grazie a piattaforme che personalizzano l’apprendimento, individuano le difficoltà prima che diventino insuccessi e suggeriscono percorsi “su misura” per ogni studente.

In questa prospettiva l’IA smette di essere solo una questione di produttività o profitti e diventa uno strumento per rendere più equo l’accesso ai servizi essenziali, a patto che sia governata e non subita.

Giovani protagonisti: pretendere le stesse chance dei coetanei

La parte più personale del discorso è riservata ai giovani. Rivolgendosi agli studenti del Politecnico, Draghi li invita a non accontentarsi: “Dovete pretendere di avere le stesse condizioni che permettono ai vostri coetanei di avere successo in altre parti del mondo”.

Per l’ex premier non basta sperare che le istituzioni facciano la loro parte: i ragazzi devono contestare gli interessi costituiti che difendono lo status quo e ostacolano il cambiamento. “I vostri successi cambieranno la politica più di qualunque discorso”, sottolinea, ricordando come l’innovazione nasca spesso alla periferia dei sistemi consolidati, nelle università, nelle start-up, nei centri di ricerca.

C’è anche un passaggio sul debito che i giovani hanno verso la società che li ha formati: famiglie che li hanno sostenuti, docenti che li hanno stimolati, istituzioni pubbliche che hanno finanziato le università. Ripagare questo debito, però, non significa dover restare per forza in Italia. In un mondo in cui il talento è mobile e la tecnologia è globale, molti percorsi passeranno inevitabilmente per l’estero. L’invito è a non rinunciare a costruire qui legami, progetti e imprese.

Il contesto europeo: allarme imprese e Report Draghi

Il discorso del Politecnico non arriva nel vuoto. Negli ultimi mesi, le principali associazioni industriali europee – da Confindustria alla tedesca BDI fino alla francese Medef – hanno lanciato appelli espliciti a Bruxelles: senza un cambio di passo su energia, transizione verde, politica industriale e digitale, l’Europa rischia un declino industriale strutturale e una perdita di competitività difficile da recuperare.

È lo stesso stato d’allarme che percorre il rapporto di Draghi sulla competitività europea, pubblicato nel 2024 su mandato della Commissione. In quel documento, l’ex presidente della Bce individua alcune priorità: chiudere il gap di innovazione con Usa e Cina, coordinare meglio le politiche energetiche, rafforzare il mercato unico dei capitali, semplificare il quadro regolatorio per l’industria e investire in modo massiccio su digitale e intelligenza artificiale.

Non a caso, nel discorso di Milano Draghi torna più volte sul tema delle “scelte rischiose e coraggiose” che i governi dovranno compiere: investire insieme su infrastrutture digitali europee, armonizzare regole e standard, facilitare la nascita di campioni industriali in settori chiave come cloud, semiconduttori, cyber–sicurezza, supercalcolo e IA generativa.

La scommessa finale: fare dell’AI il motore di una nuova Europa

Alla fine, il messaggio che parte dall’aula del Politecnico è tanto semplice quanto radicale: l’Europa può ancora scegliere. Può restare un grande mercato regolato che consuma tecnologie prodotte altrove, oppure può diventare uno dei poli della nuova economia dell’intelligenza artificiale.

Nel primo scenario, la combinazione di invecchiamento demografico, bassa produttività e alto debito porterebbe a una lunga stagione di stagnazione, con conflitti crescenti sulla distribuzione di risorse scarse. Nel secondo, l’IA diventerebbe il moltiplicatore di produttività necessario per sostenere stato sociale, transizione verde e sicurezza, offrendo ai giovani un orizzonte di opportunità paragonabile a quello dei loro coetanei americani e asiatici.

Draghi sceglie il luogo simbolo dell’ingegneria italiana per ricordare che questa scelta non è scritta in nessun manuale. Dipende da ciò che Europa, governi, imprese e cittadini decideranno di fare adesso. L’intelligenza artificiale, ribadisce, “non è destinata a salvarci da tutti i nostri problemi, ma può aiutarci enormemente se avremo il coraggio di usarla bene”.

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