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Droga: il sottile confine tra tolleranza e ignavia

- di: Redazione
 
Droga: il sottile confine tra tolleranza e ignavia
Per una volta, prima di dire come la pensiamo, facciamo parlare i numeri che, meglio di ogni considerazione, descrivono l'ampiezza del fenomeno della droga nel mondo. Dove, nel 2021, il 5,8 per cento della popolazione risultava avere fatto uso di sostanze stupefacenti. Parliamo, traducendo la percentuale in cifre, di quasi 300 milioni di persone che, quotidianamente o saltuariamente, hanno cercato una breve soddisfazione personale o di nutrire i propri demoni, abbeverandosi alla mala fonte della droga. Ma il dato che, nel rapporto 2023 sulle dimensioni del fenomeno droga nel mondo, elaborato dall'Office on Drugs and Crime delle Nazioni Unite, suona come una sconfitta per tutti è che il numero è aumentato di quasi un quarto - circa il 23% - in appena dieci anni.
Se questo non dovesse bastare, anche il numero delle persone decedute, nel 2021, per una dose eccessiva di stupefacenti o la cui morte è collegata in qualche modo all'uso di droga, non ha bisogno di commenti: 500 mila. Mezzo milione di persone decedute, facendo schizzare l'aumento, parametrato al 2009, a +17,5%.

Droga: il sottile confine tra tolleranza e ignavia

Anche se viviamo nell'era della globalizzazione e le frontiere sono più che altro un fatto formale, ciascun Paese vive realtà diverse, anche se la lotta alle sostanze stupefacenti sembra essere un obiettivo comune, seppure da perseguire con modi diversi. Negli Stati Uniti, ad esempio, oggi il pericolo si chiama fentanyl, un oppioide sintetico spaventosamente potente e che sta facendo molte vittime. Tanto che la sua diffusione (costa meno delle droghe tradizionali e con un effetto fortissimo) è alla base di quella che oramai viene definita come la strage da oppioidi, diventati un business da miliardi di dollari, con gli Stati Uniti invasi di pillole dal Messico, ma anche - e questo è più che un semplice sospetto - dalla Cina.

Ma, senza volere essere egoisti, noi dobbiamo guardare soprattutto all'Italia dove il fenomeno continua ad essere preoccupante, con lo spaccio e il consumo che crescono, nonostante l'impegno di chi - magistratura e forze dell'ordine - si spende ogni giorno per contrastarli.
Forse è arrivato il momento di ripensare a come lo Stato conduce questa guerra, che si combatte senza bandiere e che non ha volti, se non quelli di chi ne rimane vittima. La guerra non è solo quella che finisce in televisione o sui giornali, quando si parla di arresti e sequestri, perché ce n'è una sotterranea, che è quella che cammina subdolamente accanto a noi. Proprio noi che non ci accorgiamo che alcune forme di liberalizzazione o di tolleranza sono l'anticamera di ben altro e di peggio.

Negli Stati Uniti, ad esempio, molte comunità locali si sono sostituite alle agenzie federali, scendendo sul piano dell'azione legale e portando in corte le società che producono sigarette elettroniche che, ormai è assodato, esercitano una forma di fidelizzazione dei più giovani, ingannati da una pubblicità che nasconde loro il pericolo latente di una dipendenza. Anche in Italia accade questo, ma contro il fumo alternativo si fa poco o nulla, limitandosi a vedere il pericolo della droga solo in quelle pesanti o ritenute non nocive. Ma qualsiasi dipendenza, anche del fumo non da combustione di tabacco, è di per sé apportatrice di una schiavitù. E uno Stato questo non lo può, né deve permetterlo. Anche a costo di ripensare alla campagna di tolleranza che ha coinvolto le droghe ritenute quasi uno svago da parrocchia e che, per molti, invece, sono un surrogato che prepara al salto di qualità.

Non sta a noi dire se ha ragione o meno chi dice che la droga è sempre droga, quale che sia la ''forza'' dei componenti attivi. Ma forse non si fa ancora abbastanza, perché se la repressione è una risposta, insieme alla certezza della pena, la prevenzione si ferma troppo presto alla soglia delle mere raccomandazioni. Che, lo sappiamo, non servono a nulla.
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