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Ex Ilva Genova, operai in piazza. La sfida delle 200 mila tonnellate

- di: Jole Rosati
 
Ex Ilva Genova, operai in piazza. La sfida delle 200 mila tonnellate
Ex Ilva Genova, sfida sulle 200 mila tonnellate di acciaio
Le tute blu bloccano la città, ultimatum al governo: o l’acciaio torna a Cornigliano o si apre il dossier statalizzazione.

La piazza di Cornigliano non si spegne

A Genova, davanti alla stazione ferroviaria di Cornigliano, il copione è lo stesso di tanti altri giorni di rabbia, ma con toni ancora più netti. La piazza è chiusa, i mezzi di lavoro sono schierati, lo striscione in genovese che invita a “cominciare” ricorda che la mobilitazione non è mai davvero finita.

Gli operai dell’ex Ilva di Cornigliano, oggi parte del perimetro di Acciaierie d’Italia, hanno proclamato un nuovo sciopero dopo il tavolo di fine novembre al ministero delle Imprese e del Made in Italy, giudicato insufficiente e ambiguo. Chiedono una cosa molto chiara: garanzie sulla continuità produttiva dello stabilimento e sul futuro di circa 1.300 lavoratori.

Il presidio non è solo simbolico. I blocchi stradali hanno paralizzato lunghi tratti della viabilità cittadina, con code in autostrada e disagi pesanti per chi si sposta per lavoro o studio. Una parte dell’opinione pubblica comincia a mostrare segni di stanchezza, ma gli operai non arretrano: la prospettiva di uno svuotamento dello stabilimento viene vissuta come un punto di non ritorno.

Il cuore dello scontro: le 200 mila tonnellate di zincato

Al centro del braccio di ferro c’è un numero che in queste ore viene ripetuto come un mantra: 200 mila tonnellate di banda zincata.

Dal fronte ligure i sindacati spiegano che oggi il sito di Taranto produce circa 1,5 milioni di tonnellate di coils d’acciaio, di cui una quota destinata alla latta e una parte che dovrebbe alimentare la linea di zincatura di Genova, che rappresenta i due terzi dell’attività di Cornigliano. Il piano emerso a Roma, con la riduzione di queste lavorazioni, secondo i rappresentanti dei lavoratori significherebbe di fatto una paralisi del sito genovese, ridotto a lavorare a una frazione del suo potenziale.

Un rappresentante sindacale metalmeccanico sintetizza così il malessere: “Ci stanno proponendo un fermo mascherato da piano di formazione. Ma se togli la banda zincata, togli l’anima dello stabilimento”, spiega.

La rabbia delle tute blu: “Non ci spostano a forza di decreti”

Sul palco improvvisato davanti alla stazione si alternano i delegati delle tre sigle metalmeccaniche. Tutte compatte su un punto: non accettare un ridimensionamento irreversibile.

Un delegato Fiom, arringando i colleghi, avverte con tono perentorio: “Se qualcuno ha davvero deciso di spegnere gli impianti, sappia che il conto sociale e politico sarà altissimo. Da qui ci portano via solo con la forza”, afferma.

Dal fronte Fim Cisl arriva una critica altrettanto dura: “Le rassicurazioni verbali non bastano. Se blocchi i due terzi della produzione e ti limiti a promettere formazione, stai solo comprando tempo. A noi serve lavoro vero, non contentini”, sottolinea un Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

La Uilm insiste sulla necessità di una cordata nazionale con presenza diretta dello Stato: “Il mercato da solo non ha risolto nulla in questi anni. Se l’obiettivo è salvare davvero la siderurgia, il pubblico deve tornare protagonista”, sostiene un dirigente sindacale.

Dietro le parole c’è un timore preciso: che l’ennesimo piano si traduca in un lento svuotamento del sito ligure, con produzioni spostate altrove e Cornigliano trasformata in una scatola vuota.

Bucci, panettoni e ultimatum: “Entro febbraio serve un compratore”

In mezzo ai caschi e agli striscioni arriva anche il presidente della Regione Liguria Marco Bucci, che porta panettoni e dolci natalizi ma soprattutto lancia un messaggio politico preciso.

“L’obiettivo è chiaro: dobbiamo riportare a Genova almeno 200 mila tonnellate di prodotto zincato. Questo traguardo vale fino al 28 febbraio, quando si chiude la gara per l’acciaieria”, dichiara Bucci di fronte ai lavoratori.

Il governatore fissa anche uno scenario per il dopo: “Se alla fine della gara non ci sarà un compratore, chiederemo al governo di intervenire direttamente: acquisizione pubblica totale o parziale dell’azienda, ma una soluzione va trovata”, aggiunge.

Il messaggio ai lavoratori è duplice: da un lato solidarietà e presenza fisica al presidio; dall’altro la promessa di portare a Roma una linea netta, giocata sulla minaccia di una possibile statalizzazione in assenza di investitori privati credibili.

La sindaca Salis: “Linea del governo poco convincente”

Al presidio si presenta anche la sindaca di Genova, Silvia Salis. Le sue parole confermano che la frattura non è solo industriale ma anche politica.

“Al tavolo diremo che la strategia fin qui seguita non convince, né noi né la città. Stiamo parlando di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie: la siderurgia è una linea strategica per il Paese”, afferma Salis.

Cosa prevede il decreto del governo e perché scade a febbraio

Alle spalle della trattativa c’è il decreto varato dal Consiglio dei ministri il 20 novembre 2025, che autorizza Acciaierie d’Italia a utilizzare i 108 milioni di euro residui dell’ultimo prestito ponte e stanzia altri 20 milioni per il biennio 2025-2026 destinati alla cassa integrazione e alla formazione, spostando questi oneri sulle casse pubbliche.

L’obiettivo dichiarato è garantire la continuità produttiva degli impianti fino a febbraio 2026, data indicata come termine della procedura di vendita del gruppo siderurgico. In altre parole, il governo si è dato qualche mese per tenere in vita la fabbrica e trovare un acquirente, rinviando le scelte più pesanti sul piano industriale.

Proprio questa logica di rinvio è nel mirino dei sindacati, sia a Taranto sia a Genova: senza un piano industriale chiaro e investimenti immediati, i lavoratori temono che i fondi servano solo a “tirare avanti” mentre produzioni e competenze si disperdono.

Cornigliano, uno stabilimento simbolo legato a un vecchio impegno

Per capire perché la protesta dei lavoratori genovesi tocca un nervo così scoperto, bisogna tornare all’accordo di programma del 2005.

Con quell’intesa, siglata tra governo, Regione, Comune e azienda, fu decisa la chiusura definitiva della produzione a caldo a Cornigliano, in cambio di impegni precisi: continuità occupazionale, mantenimento di un sito siderurgico tecnologicamente avanzato, riconversione di parte delle aree e tutela del reddito. L’ultima colata a caldo risale all’estate 2005; da allora lo stabilimento è rimasto un presidio strategico per laminazione e zincatura, legato a doppio filo con Taranto.

Oggi i sindacati rimproverano alle istituzioni di non aver vigilato abbastanza su quell’accordo. Ogni prospettiva di ridimensionamento del sito viene letta come un tradimento di un patto politico e sociale siglato con la città.

Il clima nazionale: Taranto in agitazione, la richiesta di un piano credibile

Le tensioni di Cornigliano si inseriscono in una crisi più ampia dell’ex Ilva. A Taranto, cuore siderurgico del Paese, i lavoratori hanno già messo in atto blocchi stradali e presidi, contestando un decreto giudicato insufficiente e la mancanza di una prospettiva di lungo periodo.

A livello nazionale, anche la Chiesa cattolica è intervenuta: i vescovi dei territori coinvolti hanno chiesto un “piano industriale credibile”, che tenga insieme occupazione, salute e ambiente. È un segnale di quanto la vicenda Ex Ilva sia diventata un nodo simbolico della politica industriale italiana, ben oltre i confini delle singole città.

Ansaldo Energia, la protesta “gemella” delle barre statoriche

In queste ore, a pochi chilometri da Cornigliano, un’altra grande fabbrica genovese vive una mobilitazione parallela: Ansaldo Energia.

I lavoratori hanno proclamato uno sciopero e occupato lo stabilimento, bloccando un camion che avrebbe dovuto portare negli Stati Uniti, in Texas, le barre statoriche prodotte a Genova. Il mezzo è stato costretto a ripartire vuoto: un gesto dimostrativo contro l’ipotesi di esternalizzare e decentrare lavorazioni considerate ad alta specializzazione e valore aggiunto.

Un delegato metalmeccanico, davanti ai cancelli, sintetizza così la linea sindacale: “Difenderemo il nostro lavoro qui, non permetteremo che pezzi cruciali della produzione vengano portati altrove. Ogni tentativo di delocalizzazione troverà una risposta”, dichiara.

Molti operai ex Ilva vedono in questa protesta una sorta di specchio: due vertenze diverse, ma unite dal timore che la manifattura ad alta tecnologia lasci gradualmente Genova.

Città divisa tra solidarietà e fatica quotidiana

Le immagini delle ruspe in strada, dei tir messi di traverso e delle file interminabili di auto raccontano di una città in cui la solidarietà verso gli operai convive con l’esasperazione di chi rimane bloccato nel traffico, perde ore di lavoro o appuntamenti importanti.

Sui social e nelle conversazioni di tutti i giorni emergono due linee: c’è chi sostiene senza riserve le proteste, ricordando che senza lavoro non c’è futuro per Genova, e chi si chiede fino a che punto sia giusto “tenere in ostaggio” la città. Perfino tra gli stessi lavoratori, qualcuno ammette che i blocchi sono un’arma estrema, ma molti ribattono che la posta in gioco giustifica una mobilitazione dura.

Venerdì il tavolo al Mimit: cosa può succedere

Su questo sfondo, il prossimo passaggio chiave è l’incontro fissato al ministero delle Imprese e del Made in Italy per venerdì mattina, con la partecipazione del ministro Adolfo Urso, dei rappresentanti delle istituzioni liguri e dei sindacati.

Sul tavolo ci saranno tre punti centrali:

  • ripristino delle 200 mila tonnellate di zincato per Cornigliano;
  • definizione del perimetro produttivo degli impianti del Nord e possibili investimenti nelle cosiddette “aree libere” attorno allo stabilimento;
  • chiarimento sul ruolo dello Stato nella futura governance del gruppo siderurgico, in caso di fallimento della procedura di vendita.

I lavoratori e le sigle metalmeccaniche sono espliciti: non basteranno vaghe rassicurazioni o nuove promesse di formazione. L’asticella è stata alzata. Senza numeri precisi su produzione e investimenti, la protesta proseguirà con presidi e scioperi a oltranza.

Un bivio per Genova e per la siderurgia italiana

La vertenza Ex Ilva a Genova non è solo una questione di buste paga. Riguarda l’idea stessa di che cosa debba essere l’industria italiana nei prossimi anni: un settore da proteggere e modernizzare, oppure un’eredità scomoda da gestire a colpi di decreti tampone.

A Cornigliano, operai e sindacati hanno già scelto il loro lato del bivio. La richiesta è netta: mantenere un presidio siderurgico pienamente operativo, con investimenti seri su tecnologie e ambiente, e non accontentarsi di un lento ridimensionamento mascherato.

Entro il 28 febbraio, data indicata come limite per la gara, il governo dovrà decidere se sostenere questa visione o imboccare un’altra strada. A Genova, intanto, la piazza rimane accesa.

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