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Elezioni 2022: il centrodestra alla prova delle ambizioni di Salvini

- di: Diego Minuti
 
Elezioni 2022: il centrodestra alla prova delle ambizioni di Salvini
Se ci fosse una gara a chi rischia di mettere in qualche difficoltà un centrodestra lanciato verso una affermazione elettorale che potrebbe essere, nei numeri, addirittura clamorosa, Matteo Salvini vincerebbe a mani basse perché le ultime sue esternazioni (così come sogni e ambizioni non manifesti) , se proprio non mettono in difficoltà la coalizione, di certo rendono più complessi i rapporti interni.
Da quell'animale politico quale è, si è lanciato in campagna elettorale ancor prima che essa cominciasse, consapevole che, come il pugile che colpisce per primo e quindi fa più male, ogni giorno deve essere sfruttato per fare propaganda in vista delle elezioni 2022, per spiegare alla gente come lui la pensa e quali siano i punti non trattabili della piattaforma di proposte della Lega.

Il centrodestra si confronta con le ambizioni di Salvini in vista delle elezioni 2022

Lo può fare perché ancora non esiste un programma comune al centrodestra e, quindi, parrebbe di capire, le sue proposte saranno poi portate al tavolo comune e in quella sede, e solo in quella, valutate. Ma trattandosi appunto di proposte non è detto che alla fine siano tradotte nel programma. Ma già il fatto di promettere questo o quello (sparando anche cifre e percentuali che sono tutte da verificare in termini di fattibilità) fa guadagnare a Salvini un titolo, una intervista, una citazione, che sono poi alla base della propaganda politica o, come nel caso di specie, di una campagna elettorale.
Però, quando si ragiona in ottica di coalizione, bisognerebbe centellinare le parole perché, anche involontariamente, coinvolgono anche gli altri, che si ritrovano ad ascoltare progetti e programmi mai discussi collegialmente.

Prendiamo l'ultima cosa gettata lì, come se si trattasse di una comunicazione a margine, quasi scontata: l'ufficializzazione di una parte della squadra di governo del centrodestra (relativamente ai ministeri ''pesanti'') prima ancora del voto. Per Salvini è una cosa normale, perché, se abbiamo capito bene il senso della sua proposta, è giusto che chi vota sappia prima chi comporrà l'esecutivo al quale vuole affidare il futuro del Paese.
Ora, guardando anche oltre confine, non è che Salvini abbia detto una cosa rivoluzionaria, perché - fatto salvo il diverso sistema, trattandosi di quello francese di un presidenzialismo perfetto - Macron, prima del voto, aveva fatto il nome di chi avrebbe indicato come primo ministro. Ma lo poteva fare innanzitutto perché aveva già vinto le presidenziali e poi perché la Costituzione glielo consente.

Cosa sia passato per la testa di Salvini è facile capirlo (anticipiamo dei nomi importanti e quindi di attrattiva mediatica, per convincere un numero maggiore di elettori), dimenticando un piccolissimo particolare: sebbene siano proposti dal presidente del Consiglio, è quello della repubblica che nomina i ministri. E non sono rarissimi i casi in cui gli inquilini del Quirinale abbiano fatto capire che non avrebbero mai controfirmato la nomina di un ministro non gradito.
L'attivismo di Salvini - che certo ha già messo al massimo regime la sua personale predisposizione a farsi propaganda - apparrebbe finalizzato, oltre che al successo della Lega e quindi del centrodestra, a tornare al Viminale, che, a dire il vero, è stato lui ad abbandonare, dopo i proclami in bermuda che reclamavano poteri che nessuno ha voluto riconoscergli.

Per questo è tornato a cavalcare i temi a lui cari, quelli di ''dagli all'immigrato irregolare'', giocando sui numeri degli sbarchi e disegnando un presente ed un futuro di terrore per gli italiani determinato da un'invasione che probabilmente nei fatti non c'è o, almeno, non c'è ancora.
Salvini sa parlare alla pancia della gente, ma solo della sua gente e quindi la ripresa martellante della propaganda che disegna un Paese - il nostro - assediato da torme di ''brutti, sporchi, cattivi'', ma soprattutto immigrati, gli serve per tornare ad accreditarsi come il solo difensore dei confini patri e quindi il più accreditato a tornare a indossare felpe, magliette e berretti di Polizia, Guardia di Finanza, Carabinieri, Municipale, Vigili del Fuoco, bagnini, forestali (chi abbiamo lasciato fuori?).

Un ruolo che si è attribuito da solo e che forse non fa piacere a chi ha messo ''Italia'' nel nome del proprio partito e che vede con un certo malessere un attivismo sin troppo caratterizzato da visione estremizzata del problema immigrazione. E quando Salvini dice ''Io al Viminale? Io mi vedo dove gli italiani mi vedono'' appare un modo per porre già una precondizione che però potrebbe essere mal sopportata dai partner.
Verrebbe da chiedersi se, ad esempio, Giorgia Meloni potrebbe accettare di vedere portato il suo (oggi ancora ipotetico) governo sul banco degli imputati dell'Europa se Salvini, tornando al Viminale, riprendesse il discorso muscolare del contrasto all'immigrazione laddove l'aveva lasciato.
Un governo di centrodestra europeista e filo-atlantico per essere accettato ovunque deve soprattutto ''spendibile'' su temi importanti, quali la tutela dei diritti di tutti, e questo Giorgia Meloni, da quel che capiamo, lo sa benissimo.
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