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Epstein files, Trump citato: accuse, viaggi e smentite Usa

- di: Vittorio Massi
 
Epstein files, Trump citato: accuse, viaggi e smentite Usa
Epstein files, Trump citato: accuse, viaggi e smentite Usa

Tra file FBI, email sui voli e “smentite preventive” del DOJ: il nuovo pacchetto di carte riaccende l’incendio Epstein e mette la politica americana davanti a una domanda semplice e scomoda: trasparenza, sì… ma su cosa? 

Le nuove carte su Jeffrey Epstein non sono un “colpo di scena” in senso giudiziario: non equivalgono a prove, non sono un verdetto, non chiudono il cerchio. Ma hanno un effetto politico immediato: rimettono Donald Trump dentro la storia con riferimenti che vanno da un’email interna sui voli sul jet privato di Epstein a un file FBI che raccoglie accuse gravissime, non verificate. E, come se non bastasse, innescano una reazione rarissima: il Dipartimento di Giustizia (DOJ) interviene pubblicamente per dichiarare “infondate e false” alcune affermazioni contenute nei documenti.

Il quadro che emerge è un mosaico di materiali eterogenei: segnalazioni, appunti, scambi tra uffici, documenti spesso pesantemente oscurati. Il loro valore non sta nel “dimostrare”, ma nel far capire che cosa sia finito nei canali federali, quando, e con quali cautele — o tensioni — istituzionali.

Il punto che fa rumore: un file FBI con accuse non verificate

Tra i documenti citati da più testate statunitensi spicca un fascicolo legato a segnalazioni raccolte dall’FBI: contiene il racconto di un ex autista (o conducente) che riferisce di aver ascoltato una telefonata definita “preoccupante”, nella quale comparirebbe più volte il nome “Jeffrey” e un riferimento ad abusi su una ragazza. Secondo la ricostruzione giornalistica, da quel racconto nasce poi un’ulteriore accusa: una donna avrebbe affermato di essere stata violentata da Trump insieme a Epstein.

Qui va messo un paletto netto: parliamo di accuse riportate in un documento di intake, non di una conclusione investigativa resa pubblica. Non è chiaro, nelle sintesi disponibili, quali verifiche siano state effettuate e con quale esito. Proprio per questo, la scelta del DOJ di accompagnare la pubblicazione con una presa di distanza è diventata parte della notizia. 

L’email sui voli: “molte più volte del riportato”

Un altro elemento che accende il dibattito è un’email interna, citata in più resoconti, in cui un procuratore federale segnala che Trump avrebbe volato sul jet privato di Epstein più spesso di quanto indicato in precedenza. Time parla di almeno otto voli in un arco temporale collocato negli anni Novanta, e riferisce che in una circostanza sarebbe comparsa anche una giovane donna non identificata nei documenti pubblici.

Anche qui: un volo non è un reato. Ma politicamente è benzina, perché Epstein è una figura tossica per definizione e ogni dettaglio di prossimità sociale diventa oggetto di interpretazioni, attacchi e difese. 

La mossa del DOJ: “affermazioni infondate e false”

Il passaggio più politico — e più insolito — è la dichiarazione attribuita al Dipartimento di Giustizia: secondo il DOJ, alcuni documenti includono “affermazioni non vere e sensazionalistiche” presentate all’FBI alla vigilia delle elezioni del 2020. E aggiunge un concetto tagliente: se avessero avuto credibilità, sostiene la nota, sarebbero già state usate contro Trump.

È una frase che pesa doppio: da un lato prova a disinnescare l’effetto bomba, dall’altro rende evidente la tensione tra trasparenza e qualità delle informazioni contenute nelle carte. Tradotto: pubblicare non significa certificare.

Il capitolo “lettere” e la nota: un documento indicato come falso

In mezzo al materiale circolato, una lettera attribuita a Epstein e indirizzata a Larry Nassar (medico sportivo poi condannato per abusi) ha fatto il giro del web per il suo contenuto scandaloso e per riferimenti espliciti al “presidente”. Ma, secondo quanto riportato dal Los Angeles Times, l’FBI avrebbe indicato quella lettera come “FAKE”, e il DOJ avrebbe sottolineato che la pubblicazione di un documento non rende automaticamente vere le affermazioni contenute al suo interno.

Il dato giornalisticamente rilevante, qui, è proprio la contro-narrazione istituzionale: le carte escono, ma con avvertenze — e con un invito implicito a non trasformare ogni foglio in una sentenza. 

Perché esplode adesso: legge, tranche e una valanga promessa

Il contesto conta: le pubblicazioni avvengono mentre si discute di un quadro normativo che spinge verso la diffusione degli atti. Il Los Angeles Times riferisce che molti altri documenti sarebbero attesi nelle prossime settimane e che le carte disponibili sono pesantemente oscurate. Il risultato è una trasparenza “a intermittenza”: sufficiente a riaccendere polemiche, insufficiente a chiudere i buchi. 

Effetto politico: imbarazzo, faide e la guerra tra letture

Sul piano politico, il tema non è solo “cosa contengono le carte”, ma come vengono usate. Time descrive un clima in cui la richiesta di pubblicare tutto divide anche a destra: c’è chi invoca trasparenza totale e chi teme che l’operazione produca soprattutto fango e caos informativo. Nel frattempo, Trump respinge le accuse e liquida la vicenda come attacco politico, secondo le sintesi di stampa.

In sintesi: lo scandalo Epstein è una mina che non smette di vibrare. Ogni tranche di documenti alimenta nuove narrazioni, e ogni narrazione spinge a chiedere “il resto”. Il rischio, però, è la confusione: un oceano di carte dove il non verificato corre più veloce del verificabile. 

Cosa sappiamo con certezza, e cosa no

  • Certo: sono stati diffusi nuovi documenti legati al caso Epstein e citano Trump in più punti (segnalazioni, email, riferimenti).
  • Certo: il DOJ ha accompagnato la pubblicazione con una presa di posizione che definisce alcune affermazioni “infondate e false”.
  • Non certo: che le accuse contenute in un file di segnalazione FBI siano state confermate o trasformate in contestazioni formali. Le sintesi disponibili non chiariscono iter e verifiche nel dettaglio.
  • Certo: una lettera attribuita a Epstein, diventata virale, è stata indicata come falsa secondo quanto riportato dal Los Angeles Times. 
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